Le pietre del fulmine
Introduzione
In questo articolo proverò a chiarire il concetto simbolico delle cosiddette pietre del fulmine, basandomi sulle mie conoscenze ma, soprattutto, sui testi di René Guénon (1886-1912), grandissimo studioso francese di simbolismo, ma anche intellettuale, filosofo ed esoterista di tutto rispetto. La simbologia relativa al fulmine in senso stretto invece, ricca e presente nella quasi totalità delle culture antiche, esula dallo scopo di questo breve studio.
Scoprirete come questo breve viaggio che parte dai primordi dell’uomo, ci condurrà fino alla massoneria odierna e, soprattutto, a riflettere.
Betili
In un articolo del numero speciale del Voile d’Isis dedicato ai Tarocchi, Auriger, a proposito dell’arcano XVI, scrisse questa frase: “Sembra che esista una relazione fra la grandine di pietre che circonda la Torre colpita dal fulmine e la parola Beith-el, dimora divina, da cui derivò betili, termine con cui i Semiti designavano gli aeroliti o pietre del fulmine nelle quali si credeva che dimorassero le divinità”.
Ricordo che, dal punto di vista geologico, l’aerolite è una roccia litoide derivante da un meteorite costituita prevalentemente da silicati di ferro e di magnesio.
Questo accostamento è stato suggerito dal nome Casa di Dio dato a questo arcano, nome che costituisce effettivamente la traduzione letterale del Beith-el ebraico; cerchiamo di fare chiarezza su questo argomento. Anzitutto, è certo che il ruolo simbolico degli aeroliti o pietre cadute dal cielo è importantissimo, poiché si tratta delle pietre nere di cui si parla in molte differenti culture, da quella che era la raffigurazione di Cibele o della Grande Dea fino a quella incassata nella Kaaba della Mecca, che è in relazione con la storia di Abramo. Anche a Roma c’era il lapis niger, senza parlare degli scudi sacri dei Salii, che si diceva fossero stati intagliati in un aerolito al tempo di Numa. Tali pietre nere possono sicuramente essere classificate nella categoria dei betili, cioè delle pietre considerate dimore divine o, in altri termini, quali supporti di certe influenze spirituali; tutti i betili avevano questa provenienza?
Probabilmente no, e, in particolare, non vi è alcun indizio che permetta di supporre che tale sia stato il caso della pietra alla quale Giacobbe, secondo il racconto della Genesi, diede il nome di Beith-el, attribuito al luogo stesso in cui aveva avuto la visione mentre la sua testa posava proprio sulla pietra. Il betilo è propriamente la rappresentazione dell’Omphalos cioè un simbolo del Centro del Mondo, che s’identifica nel modo più naturale con l’abitacolo divino. Questa pietra poteva avere forme diverse e in particolare quella di un pilastro; fu così che Giacobbe disse: “E questa pietra, che ho eretto come un pilastro, sarà la casa di Dio”; e, presso i popoli celtici la maggior parte dei menhir aveva lo stesso significato. L’Omphalos poteva esser rappresentato anche da una pietra di forma conica, come la pietra nera di Cibele, od ovoidale; il cono richiamava la Montagna sacra, simbolo del Polo o dell’Asse del Mondo; in quanto alla forma ovoidale, essa si riferisce direttamente a un altro simbolo assai importante, quello dell’Uovo del Mondo. In tutti i casi, il betilo era una pietra profetica, una pietra parlante, cioè una pietra che rendeva oracoli, o accanto alla quale erano resi oracoli, grazie alle influenze spirituali di cui essa era il supporto: l’esempio dell’Omphalos di Delfi è a questo proposito assai caratteristico.
I betili erano quindi essenzialmente pietre sacre, ma non tutte di origine celeste; tuttavia, è forse vero che, almeno simbolicamente, l’idea di pietra caduta dal cielo poteva in qualche modo esservi legata. Quel che ci fa pensare che le cose stessero in questo modo è il loro rapporto con il misterioso Luz della tradizione ebraica; questo rapporto è sicuro per le pietre nere, che sono effettivamente degli aeroliti, ma non dev’essere limitato soltanto a questo caso, poiché è detto nella Genesi, a proposito del Beith-el di Giacobbe, che il primo nome di tale luogo era precisamente Luz. Possiamo anche ricordare in quest’occasione che il Graal era stato intagliato, si diceva, in una pietra caduta anch’essa dal cielo, e fra tutte queste cose sussistono legami assai stretti.
Infatti, sia che si tratti dei betili in genere, sia delle pietre nere in particolare, né gli uni né le altre hanno in realtà niente in comune con le pietre del fulmine; e soprattutto su questo punto la frase citata all’inizio del presente articolo contiene un errore interpretativo cui cercherò di dare una spiegazione. Risulta abbastanza intuitivo supporre che le pietre del fulmine o del tuono siano pietre cadute dal cielo, aeroliti, e invece non è così; non si potrebbe mai indovinare che cosa siano senza averlo appreso dai contadini che, per tradizione orale, ne hanno conservato il ricordo. I contadini commettono d’altronde anch’essi un errore di interpretazione, che mostra come il vero senso della tradizione sfugga loro, quando credono che tali pietre siano cadute con il fulmine, o che siano il fulmine stesso. Essi sostengono infatti che il tuono cade in due maniere, in fuoco o in pietra: nel primo caso, incendia, mentre nel secondo infrange soltanto; ma essi conoscono assai bene le pietre del tuono, e si sbagliano solo attribuendo a esse, a causa della loro denominazione, un’origine celeste che non hanno mai avuto.
Rappresentazione simbolica del fulmine
La verità è che le pietre del fulmine in realtà sono pietre che rappresentano il fulmine: la differenza non è poi così sottile. Altro non sono che le pietre di silice preistoriche, adatte per la creazione di utensili (specialmente se utilizzati per tagliare e fendere) che, per le loro caratteristiche petrografiche e mineralogiche presentano caratteristiche che permettono la creazione di incisioni concoidi. Le pietre che presentano queste caratteristiche sono in primis l’ossidiana. L’ossidiana, in sintesi, è una roccia magmatica effusiva prodotta del rapido raffreddamento della silice contenuta in un magma, tanto veloce (shock termico) da non permettere la genesi di cristalli ben formati (sistema cristallino amorfo).
Ad esempio l’ascia di pietra è la pietra che spezza e che fende, e perciò rappresenta il fulmine; questo simbolismo risale d’altronde a un’epoca estremamente remota, e spiega l’esistenza di certe asce, chiamate dagli archeologi asce votive, oggetti rituali che non hanno mai avuto alcuna valenza pratica come armi ad esempio. E’ inoltre presumibile dedurre che l’ascia di pietra di Parashu-Rama e il Mijolnir (il martello di pietra di Thor) siano in realtà una sola e identica arma, e tale arma è il simbolo del fulmine.
Nella mitologia norrena è noto che Thor scagliò il suo Mijolnir contro i giganti e, una volta abbattuti, l’arma tornò nelle sue mani come un boomerang: ma il martello di Thor aveva anche una valenza “benefica” in quanto sanzionava anche i matrimoni.
Si vede così anche che il simbolismo delle pietre del fulmine è di origine iperborea, cioè si ricollega alla più antica tradizione dell’umanità attuale. È opportuno notare, d’altra parte, la funzione importantissima che svolge il fulmine nel simbolismo tibetano; il vajra, che lo rappresenta, è una delle principali insegne dei dignitari del lamaismo. Nello stesso tempo, il vajra simboleggia il principio maschile della manifestazione universale, e così il fulmine è associato al concetto di paternità divina; associazione che si rinviene chiaramente nelle antiche culture occidentali, poiché il fulmine è il principale attributo caratterizzante di Zeus-Pater (o Jupiter), padre degli dèi e degli uomini, con cui fulmina i Titani e anche di Thor che combatte i nemici con la propria arma di pietra.
Simbolismo massonico del martello
Da evidenziare anche un aspetto che riguarda il simbolismo massonico del maglio: non solo c’è un rapporto evidente fra il maglio e il martello, che sono due forme di uno stesso strumento, ma lo storico massonico inglese R.F. Gould pensa che il maglio del Maestro, di cui ricollega d’altra parte il simbolismo a quello del Tau per via della sua forma, tragga la sua origine dal martello di Thor. I Galli, ad esempio, adoravano un “dio col maglio” che si rinviene in un altare scoperto a Mayence: sembra addirittura che si tratti del Dis pater, il cui nome è assai vicino a quello di Zeus pater, e che i druidi, a quanto dice Cesare, consideravano come padre della razza gallica. Così, questo maglio appare ancora come un equivalente simbolico del vajra delle tradizioni orientali, e, per una coincidenza per niente fortuita, si fa presente il fatto che i maestri massoni possiedano un attributo che ha esattamente lo stesso senso di quello dei grandi Lama tibetani. Per cui un oggetto che racchiude un potente e atavico potere, duale nei suoi effetti di apparente contrario significato, ma unico nella sua essenza: un potentissimo strumento simbolico e di potere. Oggi, ad esempio, il martello viene utilizzato dal Giudice nelle aule di giustizia per richiamare all’ordine.
In base a quanto andrò ad esplicitare non mi preoccupa affatto di venire accusato di essere “avverso” alla massoneria. La domanda però sorge spontanea: nella massoneria odierna, chi mai potrebbe detenere un oggetto di tale potere e valore (simbolico)? Probabilmente nella massoneria nostrana, ossia ciò che ancora sopravvive stoicamente nella forma di pseudo organizzazioni iniziatiche occidentali, in pochi (se non nessuno) sono a conoscenza di cosa si tratti. Nel momento in cui si perde la visione spirituale e il concetto intrinseco, storico e antropologico di un simbolo, esso non rimane che un contenitore vuoto, del tutto inutile, senza alcuna connotazione iniziatica e spesso dannosa. Nella simbologia massonica il martello è impugnato dal maestro della Loggia e simboleggia la lavorazione della pietra grezza (l’iniziato e apprendista): per cui un cammino verso la conoscenza e l’illuminazione. Trasformare la nuda pietra rozza in oro, noto concetto alchemico. Come può un Maestro condurre un apprendista verso la conoscenza se egli stesso ignora il reale significato simbolico e l’intrinseca essenza di ciò che utilizza?
Spunto di riflessione
Abbiamo quindi messo in evidenza che le pietre fulmine provenienti dal cielo in realtà rappresentino il fulmine dal punto di vista archetipico e simbolico. Da sottolineare che l’inziale comprensione errata non è detto che fosse ad opera dei popoli antichi, ma piuttosto derivante da interpretazioni sbagliate da parte di studiosi vari, temporalmente parecchio antecedenti rispetto ai loro antenati arcaici.
A questo punto vorrei proporre uno spunto di riflessione. La tanto amata logica dagli uomini ci ha condotto a queste conclusioni. Proviamo per un attimo ad elevare il nostro livello di coscienza: se invece, in via del tutto ipotetica, le popolazioni arcaiche fossero a conoscenza di aspetti ad oggi a noi ignoti? Se per puro caso i nostri progenitori utilizzassero tecnologie andate poi perdute? In questa “fantasiosa” eventualità tutte le nostre considerazioni, i nostri studi e interpretazioni, le nostre sicurezze avrebbero valenza nulla, pressoché pari a zero. Un dogma rimane tale solo fino al momento in cui lo si comprende in base al proprio livello di consapevolezza.
Lunga vita agli Dèi, lunga vita a Thor!!
Fonti
Dei e Eroi della Mitologia Vichinga, Brian Branston, illustrazioni di Giovanni Caselli, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1981
I Miti Ebraici, Robert Graves e Raphael Patai, Tea Edizioni, 1988
Simboli, Hans Biedermann, Garzanti Editore, 2014
Simboli della Scienza sacra, René Guénon, Adelphi Editore, 2011