Aspetti antropologico-religiosi nella ritualità dei sacrifici
Introduzione
Sacrifici di bambini durante riti di stregoneria per ottenere benefici dagli spiriti, uomini trucidati per placare l’ira degli dei: agli occhi di un uomo occidentale tali usanze possono sembrare retaggio di secoli passati e di barbarie inaccettabili ma, come spesso accade, la realtà è purtroppo diversa.
Fin dall’antichità infatti l’uomo ha sacrificato propri simili per raggiungere uno scopo e, tutt’ora, tali ritualità e credenze sono presenti in diverse culture contemporanee: ad esempio nella maggior parte di quelle sudamericane (fortemente influenzate dagli antichi riti incaici, maya e aztechi), oppure in talune tribù africane.
Ultimamente ha fatto scalpore la notizia che in Uganda si pratichino ancora sacrifici umani e, più precisamente, di bambini.
La notizia è stata diffusa da diverse fonti, tra cui spicca quella fornita da Jubilee Campaign Law of Life, (un’associazione americana che si occupa anche di tutela dei minori), secondo cui a oggi, in Uganda, sono stati trucidati oltre novecento bambini per sacrifici umani. Questa tremenda pratica è utilizzata per ottenere salute, successo e soldi: sotto un certo punto di vista le stesse cose che si possono ottenere da un patto con il diavolo ma, vista la frenetica evoluzione della società moderna, il concetto di “vittime” è cambiato rispetto al passato. O meglio, sono cambiate le modalità, dato che il fine è sempre lo stesso: trarre beneficio dal sacrificio di un altro essere vivente.
E i soldi c’entrano, e neppure poco.
I bambini dunque sono divenuti dei veri e propri beni commerciali, necessari per mantenere un grottesco mercato che si basa sul classico concetto di domanda-offerta. E non si pensi che queste barbarie siano di esclusiva competenza dei ceti più poveri e disperati, poiché il fenomeno si sta espandendo anche a livelli sociali superiori: non è raro, infatti, che uomini d’affari, imprenditori e ricchi possidenti si rivolgano a stregoni per ottenere la “merce” desiderata.
Stregoni nel vecchio continente
Gli stregoni, per credenza, ma più verosimilmente per soldi, non si tirano affatto indietro. Il loro modo di agire è raccapricciante perché solitamente propongono due metodi per compiere il rito sacrificale: o seppellire il bambino vivo presso il luogo desiderato in cui si vogliono ottenere i benefici, oppure mutilarlo e raccogliere il sangue in un contenitore. Ai maschi spesso sono asportati i genitali e la testa e inumati assieme alle mani e i piedi.
Purtroppo nel continente africano sono molto diffuse tali pratiche, e la medicina Muti è un altro terribile esempio.
Muti sono una parola di origine zulu che significa medicina tradizionale africana particolarmente utilizzata in Tanzania, Burundi e Africa meridionale. Fino a qui niente di male, ma quali sono gli aspetti peculiari di questa medicina? Utilizzare parti di corpo umano per creare medicinali con lo scopo di curare vari tipi di patologie. Si ritiene anche che, per ottenere la massima efficacia, le parti del corpo della vittima debbano essere prelevate quando la persona è sempre viva e che le sue urla di dolore migliorino sensibilmente gli effetti curativi del farmaco.
Anche in questo caso le vittime preferite sono i bambini e, da recenti studi effettuati da organizzazioni umanitarie internazionali, sono soprattutto i bambini albini a essere particolarmente apprezzati.
La richiesta è talmente elevata che, spesso, le parti dei corpi delle vittime sono esportate in tutto il continente, creando così una rete commerciale che sembra inarrestabile.
Anche in questo caso gli acquirenti non vanno ricercati solamente nei ceti più disagiati, ma sono soprattutto persone benestanti a mettere sul piatto le offerte più sostanziose pur di impossessarsi delle medicine ricavate da parti e organi umani: con esse si possono curare non soltanto malanni fisici, ma anche la povertà e la malasorte.
Muti victims are mostly children andPer fortuna molte associazioni e organizzazioni internazionali si stanno occupando di queste scottanti questioni, anche se il lavoro da fare è ancora lungo e difficile.
La questione antropologica
Dal punto di vista antropologico da cosa deriva questa tremenda pratica? Possiamo conoscerne i motivi? Comprenderli?
La risposta è da ricercare nell’evoluzione e, in particolar modo, nell’istinto di sopravvivenza dell’uomo. Gli uomini primitivi, infatti, intesi nel senso più generale del termine, erano soliti sacrificare i propri figli per ricevere in cambio di un bene superiore a vantaggio della propria tribù. Solitamente spettava alle donne questo compito e teniamo presente che i nostri “avi”, che vivevano soprattutto di caccia, non si facevano scrupoli a sopprimere la propria prole in condizioni ambientali particolarmente difficili e sfavorevoli.
Lo stesso comportamento è riscontrabile ai nostri giorni osservando differenti specie animali.
Studiando quindi le civiltà a noi antecedenti, sembrerebbe proprio che il sacrificio rituale umano fosse una pratica molto diffusa. Come non ricordare ad esempio la civiltà incaica, quella maya e tutte le popolazioni precolombiane? Dagli scritti dei sacerdoti dei conquistatori spagnoli, ad esempio, siamo venuti infatti a sapere che gli Incas, per placare l’ira degli dei, sacrificavano molti bambini. Idem per i Maya.
Le vittime non dovevano presentare imperfezioni per non inficiare il rituale affinché gli dei accettassero il sacrificio; essere scelti per questo scopo era quindi un grande onore.
Questi bambini erano i cosiddetti capacochas, vittime sacrificali donate dagli Inca ai temibili dei delle montagne. Scelti tra la nobiltà, i bambini destinati a diventare capacochas dovevano essere belli e in ottima salute. Con il sacrificio di creature così pure, gli Incas ritenevano di offrire agli dei il tributo più prezioso. Ai bambini invece spettava l’onore di divenire divinità ed entrare a far parte della sfera celeste.
L’archeologo Max Uhle, agli inizi del secolo, rinvenne un numero considerevole di cadaveri di donne sepolte nei pressi del tempio del dio sole, Inti, nella costa del Perù: le vittime presentavano tutte evidenze di strangolamento.
Dopo questa prima importante scoperta sono state rivenute un gran numero di vittime sacrificali dislocate in vari punti della catena Andina: nella quasi totalità dei ritrovamenti, i corpi erano mummificati e perfettamente conservati a causa del clima e, soprattutto, del tipo di suolo tipico di quelle latitudini e altitudini.
È stato addirittura possibile eseguire autopsie sui cadaveri rinvenuti nel permafrost e, quindi, ottenere informazioni preziose circa le usanze degli Incas.
Come nel caso dell’agghiacciante scoperta avvenuta nel 1999 sulla cima al vulcano Llullaillaco, nell’area nord ovest dell’Argentina: qui, furono riportati alla luce i cadaveri di tre bambini di età compresa tra gli otto e i quindici anni.
Erano vestiti di lana e sulla testa portavano un ampio copricapo di piume; secondo la ricostruzione degli studiosi essi vennero drogati con un distillato ottenuto dalle foglie di coca per combattere i malesseri dell’altitudine e per stordirli.
Una volta giunti nel posto desiderato, gli fu fatta bere una bevanda alcolica simile alla birra ma ricavata dalla fermentazione del mais, la “chica” (utilizzata ampiamente anche dagli aztechi), e in seguito furono sepolti vivi in buche profonde circa due metri assieme a un corredo di oggetti cerimoniali.
Sacrifici rituali nella civiltà azteca
I riti appena descritti erano ben poca cosa rispetto a quanto praticato dagli Aztechi, in Messico, che arrivarono a compiere dei veri e propri eccidi di massa in nome del sacrificio agli dei. Dei molto esigenti a quanto pare, dominatori incontrastati del cosmo, che avrebbero causato la fine del mondo se non accontentati in maniera adeguata.
Ogni giorno nelle principali città azteche venivano effettuati rituali con sacrifici umani e pare che, in queste occasioni, il sangue scorresse a fiumi dai templi.
Gli aztechi credevano che gli dei si fossero immolati per creare il sole e, per tale motivo, era loro dovere nutrirli con l’“acqua sacra”, ovvero il sangue. Ogni occasione era quindi propizia per i cruenti riti.
Alla festa del dio della Primavera, ad esempio, si trafiggeva a morte un giovane con le frecce per fecondare il terreno. Durante la cerimonia del Nuovo Fuoco, una delle più importanti della cultura azteca che si svolgeva ogni 52 anni, la gente si riuniva sulla Montagna del Nuovo Fuoco e il sacerdote sacrificava un uomo sovrastato dalle grida di gioia delle persone per aver ottenuta l’ennesima salvezza del mondo.
In varie occasioni i sacrifici raggiunsero livelli di vero e proprio mattatoio. In occasione della festa del tempio di Huitzilopochtli, temibile dio della guerra e del sole e protettore della città di Tenochtitlán, furono uccise più di ventimila persone.
Ma come avvenivano questi riti? Il prescelto, indipendentemente dalla propria volontà e dopo aver condotto una lotta rituale contro vari avversari, era condotto magnificamente vestito in cima alla piramide dove veniva immolato su una pietra. Il sacerdote incaricato del sacrificio era assistito da altri sacerdoti minori che immobilizzavano la vittima mentre gli veniva squarciato il petto con un pugnale di ossidiana e gli veniva estratto il cuore, che doveva essere offerto ancora pulsante agli dei; il sangue veniva fatto colare giù dalla piramide.
Dalle piattaforme del tempio il fumo dell’incenso e dei cuori bruciati saliva fino agli dei e la tintura nera con cui si tingevano i sacerdoti conteneva droghe che li rendeva insensibili alla fatica e capaci di danzare e cantare ininterrottamente per molte ore.
Il corpo senza vita della vittima veniva poi eliminato e, in alcuni casi, anche mangiato.
Diverse testimonianze di questi efferati rituali ci sono giunte dagli appunti dei soldati comandati dal conquistatore spagnolo Hernando Cortes che, di fatto, con la conquista del Messico pose fine alla civiltà azteca perpetuando omicidi non meno efferati di quelli compiuti dai sacerdoti durante i sanguinosi rituali propiziatori.
Certamente l’impatto dei “civili” spagnoli con gli usi degli aztechi non fu privo di un certo trauma psicologico. Così scrivono circa la religione azteca, “…c’erano tredici divinità principali e più di duecento divinità inferiori. Alla testa di tutti questi era il terribile dio Huitzilopochtli, il Marte messicano, chiedendo scusa a Marte se lo paragoniamo a questo mostro sanguinario. La nazione lo adorava e decorava la sua immagine con ornamenti preziosi; i suoi templi erano gli edifici più imponenti, e in tutte le città dell’impero i suoi altari grondavano sangue di vittime umane”.
Pare che Cortes fosse rimasto ammirato dal potere dell’imperatore azteco Montezuma e che gli avesse chiesto il permesso di entrare nei suoi santuari per vedere l’immagine dei suoi dei.
Una volta entrato, lui e la sua scorta rimasero impressionati dall’immagine colossale di Huitzilopochtli “…con lineamenti orrendi, di carattere simbolico, che sfiguravano il suo volto. Attorno alle reni si avvolgevano le larghe spire di un serpente, in perle e pietre preziose, sparse a profusione anche sulla persona del dio.
Sul suo piede sinistro brillavano le piume delicate dell’uccello-mosca che, per una strana bizzarria, dava il nome a questa temibile divinità. Il più notevole dei suoi ornamenti era una catena appesa al collo e composta di cuori d’oro e argenti alternati, emblema dell’omaggio ch’egli gradiva di più. Tre cuori umani, ancora fumanti e forse palpitanti, dato ch’erano stati tolti da poco dal seno delle vittime, erano collocati sull’altare davanti a lui, testimonianza ancora meno equivoca delle sue sanguinarie pretese”.
Sacrifici presso le altre antiche culture
I sacrifici umani non erano praticati solamente dalle civiltà precolombiane, infatti, tramite gli appunti di un viaggiatore greco, tale Posidonio, abbiamo testimonianza di come i Celti facessero largo uso di vite umane per i loro riti religioso-propiziatori.
Posidonio attraversò la Gallia circa cinquanta anni prima che Cesare conducesse le legioni romane fino alla Manica; i suoi scritti, raccolti nell’opera “Commentari”, ci permettono di avere un quadro dei sacrifici in uso fra i Celti della Gallia alla fine del II secolo a.c..
I Celti destinavano i condannanti a morte per essere immolati agli dei durante fastose cerimonie che si tenevano ogni cinque anni. Più numerose erano le vittime e più feconda sarebbe stata la terra con i propri frutti.
Se i criminali da sacrificare non erano sufficienti, s’integrava il numero con i prigionieri di guerra.
Quando arrivava il momento le vittime erano sacrificate dai sacerdoti, i Druidi, sia con le frecce sia impalandoli. Altri venivano bruciati vivi nel seguente modo: si costruivano colossali immagini antropomorfe di giunchi o di legno e venivano riempite di uomini e bestiame. Poi si appiccava il fuoco a queste gigantesche effigi ed esse ardevano con tutto ciò che c’era dentro.
Non esistevano solo le grandi cerimonie quinquennali, infatti ne esistevano altre, su scala minore, che venivano celebrate ogni anno e che non discostavano molto da quella descritta se non per il numero delle vittime. Ancora oggi nell’Europa del nord esistono feste rituali, fortunatamente senza sacrifici umani, che ricordano da vicino le gigantesche gabbie di vimini in forma antropomorfa dentro le quali i Druidi, che presiedevano i rituali magico-religiosi, bruciavano vive dozzine di persone.
Anche se poco noto, le popolazioni scandinave non erano da meno in fatto di sacrifici umani. Oggi gli archeologi stanno ancora discutendo circa la veridicità o meno di tali sacrifici, che sembra aver trovato comunque conferma anche in recenti ritrovamenti di scheletri in Islanda e, più precisamente nella Vallata del Þegjandadalur, nella contea di Suður-Þingeyjasýsla, durante gli scavi di una necropoli probabilmente precedente all’anno 1000; quello che purtroppo non sappiamo è il perché.
In Scandinavia questi riti erano solitamente offerti a Odino, principale divinità signore della guerra e della saggezza.
Non vogliamo ora addentrarci nella religione scandinava perché questo richiederebbe uno studio lungo e approfondito che esula dal tema della nostra ricerca, ma l’apparente compiacimento con cui le popolazioni scandinave uccidevano le vittime designate, fa supporre che vi fossero motivazioni ben più oscure e criptiche di quelle prettamente religiose.
A Uppsala, in Svezia, le vittime erano appese ai rami degli alberi di un bosco sacro posto nelle immediate vicinanze di un tempio. I templi spesso erano costeggiati da vasche, simili a piscine, dentro le quali venivano immerse le vittime fino a che annegavano.
In Islanda invece il “Cerchio del Destino” custodiva la pietra del dio Thor, sulla quale le vittime venivano brutalmente percosse fino alla morte.
Ma erano i rituali dei vichinghi quelli più orribili e violenti. Alla vittima prescelta, ancora viva, veniva praticata una profonda incisione sulla schiena dalla quale venivano estratti i principali organi: la morte era atroce e molto lenta ed è conosciuta come l’aquila di sangue.
L’usanza dei sacrifici umani è comunque comune a molte culture.
In Grecia, per esempio, abbiamo notizia dei riti oscuri effettuati dalle sacerdotesse devote a Dioniso, narrati da Euripide nella sua tragedia “Le Baccanti”.
La cerimonia in onore di Bacco, dio del vino, delle sfrenatezze e delle orge, si concludeva solitamente col sacrificio di un animale e, talvolta, di un bambino.
Le tragedie riferiscono di celeberrime vittime sacrificali (da Ifigenia a Polissena, ad esempio). Erodoto parla di sacrifici umani in Acaia, e Plutarco racconta di analoghi sacrifici fatti da Pelopida prima della battaglia di Leuttra e da Temistocle prima della battaglia di Salamina; e l’elenco potrebbe essere ancora molto lungo.
Diversi studiosi avanzano dubbi circa questa terribile usanza presso i Greci, e lo stesso presso gli Etruschi: esistono tuttavia indizi (ritrovamento di quattro scheletri umani presso Anemospilia a Creta uno dei quali con una lama di circa quaranta centimetri all’ altezza dell’addome, raffigurazioni su vasi etruschi forse di derivazione mitologica) che sembrerebbero dar ragione a coloro che sostengono il contrario.
Anche nel mondo romano accadeva qualcosa di simile: vari storici, come Tito Livio, scrivono che nei momenti di panico, quando si riteneva che alcuni avvenimenti particolari fossero indizio di future sciagure, il popolo si affrettava a compiere sacrifici umani, di solito scegliendo le vittime tra gli schiavi. Cicerone e Sallustio invece narrano di una grave fatto di sangue di cui si macchiò Catilina: in occasione di una riunione segreta alla quale erano presenti suoi fedeli e amici, Catilina avrebbe indotto i presenti a bere del vino rosso miscelato con sangue umano. Una specie di giuramento che avrebbe legato ancora di più a lui i suoi uomini.
Ancora una volta emerge il concetto di patto di sangue, comune a quasi tutte le civiltà, dalle più antiche a quelle attuali. Per ottenere un patto col diavolo si fa un patto di sangue, lo stesso in molte religioni-magie orientali, sudamericane e africane (vaudou). Per quale motivo il sangue ha un valore simbolico così potente per l’uomo? Perché questo fluido rappresenta il vettore della vita strettamente connesso ai contenuti spirituali e ultraterreni dell’essere umano: questo concetto si tramanda nel tempo ed è presente in quasi tutte le religioni, rituali, superstizioni e tradizioni conosciute. Scambiarsi, mescolare o addirittura bere del sangue ha da sempre significato assumere un impegno indelebile che va al di là del tempo ed è soprattutto questo il motivo per cui si fa un patto di sangue.
Esistono diverse testimonianze che asseriscono l’esistenza di analoghe consuetudini anche presso i Britanni e gli abitanti dell’Irlanda. E come non menzionare i Longobardi? Popolazione germanica feroce e indomita che noi italiani abbiamo conosciuto, seppur in epoche remote, purtroppo molto bene.
Popolo di grandi guerrieri, ma anche di antropofagi rituali, di adoratori di divinità implacabili e di usanze alquanto grottesche: pare che re Alboino avesse, infatti, la consuetudine di bere vino nel cranio del padre di sua moglie (de gustibus…).
Anche presso il mondo sassone era usanza di mangiare e immolare uomini, quasi sempre per offrirli all’albero sacro, il celebre Irminsul, simbolico sostegno dell’universo,
ovvero il grande frassino che si leva al centro dell’Universo e rappresenta la continuità e la vita stessa dei nove mondi.
E, non certo in ordine temporale, come non ricordare il celebre e terribile dio Moloch?
Antico dio fenicio e cananeo, venerato anche dagli Israeliti: a lui venivano offerti in sacrificio molti uomini, soprattutto i figli primogeniti.
Moloch (Molech o Molekh o Molok o Mal’akh o Melqart in ebraico), molto spesso scambiato e confuso con il dio siro-palestinese Baal (divenuto temibile demone in seguito all’avvento del cristianesimo), era una divinità legata al culto del Sole ed rappresentata con una grande statua di bronzo, nel cui interno cavo ardeva costantemente un fuoco che la rendeva di un rosso incandescente. Aveva testa di toro e braccia umane tese, pronte ad accogliere le vittime sacrificali. Con un ingegnoso sistema di catene, le braccia venivano sollevate verso la bocca (come se il dio stesse mangiando) e il bambino veniva lasciato cadere all’interno, tra le fiamme, e quindi arso vivo.
Sacrificare il primogenito
Queste terribili tradizioni non devono per niente stupirci giacché il sacrificio del primogenito era molto frequente nell’antica Palestina ed era stato praticato non soltanto dal re moabita Mesha, che bruciò il figlio in onore del dio Chesmoh (II Re III, 26-27), ma anche dagli Ammoniti che donavano i loro figli al già citato Moloch (Levitico XVIII, 21 e XX, 2), dagli Arameii i cui dei erano Adram-melech e Ana-melech, e anche agli ebrei Ahaz (II Re XVI, 3) e Manasse (II Re XXI, 6).
Pare che il culto di Moloch fosse stato introdotto a Gerusalemme da re Salomone, in onore del quale i bambini erano immolati nella valle di Tophet, ossia la Gehenna (II Re XXIII, 10), l’inferno ebraico.
In Esodo XXII, 28-29, si legge chiaramente, “Tu mi darai il primogenito dei tuoi figli e anche quelli delle tue mandrie e del tuo gregge, al loro ottavo giorno”. Ezechiele (XX, 24-26) ne parla come “una delle leggi che non erano buone” e tali da contaminare Israele per castigo della sua idolatria.
La Bibbia d’altronde spesso narra di sacrifici umani. Anche volendoci non soffermare sulla discussa vicenda di Isacco, non possiamo ignorare quanto riportato in Giosuè VI, 26. Si narra che Giosuè fece giurare: “Maledetto davanti al Signore l’uomo che si alzerà e ricostruirà questa città di Gerico! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore ne erigerà le porte!”.
Giosuè ordinò un sacrifico umano in seguito alla sconfitta subita dagli israeliani che si scontrarono con il popolo della città di Ai.
La vittima sacrificale scelta fu Acan che, dopo essersi autoaccusato (non proprio spontaneamente) della sconfitta subita, fu lapidato a morte. Tale sacrificio dette nuova linfa vitale agli israeliti che, durante una nuova battaglia, sconfissero l’esercito di Ai.
Cannibalismo e antropofagia
Abbiamo visto come l’usanza dei sacrifici umani fosse comune a molte culture più o meno antiche, sparse in ogni zona geografica del pianeta. Tale pratica ha assunto diverse forme e, tutt’ora, viene identificata come strumento per far piacere agli dei e per placarli.
Anche ai nostri giorni, in particolar modo in alcune aree del Sud America, gli sciamani praticano il sacrificio umano per placare le forze della natura e, addirittura, per assecondare quelle delle opere realizzate dall’uomo.
Nelle regioni più impervie del Perù, dell’Ecuador e della Bolivia gli sciamani sono soliti piazzare grandi massi nei tratti più pericolosi delle strade allo scopo di causare incidenti automobilistici mortali; essi ritengono che sia necessario per appagare gli spiriti della strada. In parole semplici potremmo tradurre: sacrificarne pochi per salvarne molti.
Siamo proprio sicuri che tutti i sacrifici umani rituali fossero eseguiti solamente per scopi religiosi? Oppure, talvolta, esistevano motivazioni più terrene?
E’ mia opinione che etichettare i sacrifici sempre come vettore per ottenere qualcosa dalle divinità, sia alquanto spicciola, semplicistica e fuorviante. Senza ombra di dubbio è più comoda ed eticamente plausibile, ma non è così. L’ipocrisia non può sopraffare la verità.
Ad esempio nella cultura sciamanica si praticano sacrifici umani per trasformare gli spiriti delle vittime in spiriti guardiani da utilizzare al proprio servizio, una sorta di entità intrappolate dallo sciamano per essere utilizzate per fini sia negativi che positivi: un po’ come i nostrani maghi che possono utilizzare i propri poteri sia per magia bianca che per magia nera. Il confine, in certi casi, è veramente sottile.
Esaminiamo inoltre i sacrifici di alcune popolazioni che praticavano il cannibalismo. Il passato è d’obbligo, dato che la maggior parte della comunità scientifica sostiene che oramai non sia più praticato al giorno d’oggi; anche in questo caso i dogmi non corrispondono sempre alla verità. Tuttavia, anche volendo sorvolare su quest’ultimo aspetto, credete che i cannibali praticassero l’antropofagismo solamente per sfamarsi? Forse era vero presso alcune tribù neolitiche, non in senso assoluto.
Pensate che si cibassero di uomini perché la carne umana fosse più buona di quella di altri animali? Non è così, inoltre sarebbe stato più facile catturare della selvaggina piuttosto che sacrificare un proprio simile (nel senso evoluzionistico di mammifero evoluto).
Gli antropologi di tutto il mondo sono divisi sotto quest’ aspetto: alcuni sono accaniti sostenitori della tesi dei riti magico-religiosi, altri per la più concreta tesi della “fame”, altri ancora sostengo che venissero mangiati i nemici perché non era conveniente farli prigionieri di guerra (uso attribuito, secondo me erroneamente, agli aztechi).
Riassumendo possiamo sintetizzare così le tipologie di cannibalismo.
Cannibalismo alimentare: praticato per mere necessità alimentari;
Cannibalismo rituale: consiste nel mangiare parti del corpo umano a scopo magico o religioso;
Pseudo-cannibalismo: pratiche non necessariamente cannibali, connesse al culto dei morti.
Abbiamo quindi a disposizione un ampio ventaglio di tesi/ipotesi che spazia da concetti molto concreti ad altri alquanto forzati.
Personalmente non sono certo in grado di risolvere questo dilemma ma, certo è, che bisognerebbe prendere in considerazione anche altri aspetti, come ad esempio il valore simbolico-esoterico-mistico-alchemico di nutrirsi di propri simili. Esseri viventi uguali e vivi, altrimenti si tratterebbe di necrofagismo: tutta un’altra cosa.
Riassumendo possiamo affermare che ogni cultura, dal passato fino ai tempi recenti, ha praticato sacrifici rituali immolando propri simili allo scopo di ottenerne benefici, sia per placare l’ira degli dei, sia per necessità, sia per credenze atavicamente tramandate dai propri avi: esistono tuttavia, in molti casi, motivazioni che ancora ci sfuggono e che rimangono avvolte nel mistero.
In ogni caso ci auguriamo che, qualunque sia la tipologia di sete di sangue delle divinità o la necessità del momento, questi crimini contro l’umanità cessino di esistere e siano oramai relegati a tempi passati.
Fonti
Gli Aztechi, A. Vallardi, Aldo Garzanti Editore, 1977
History of the conquest of Mexico, William H. Prescott, libero adattamento di P. Guillot, editions de Crémille, Ginevra, 1969
I Miti Ebraici, Robert Graves e Raphael Patai, Tea Edizioni, 1988
Il Ramo d’Oro – Studio sulla magia e sulla religione, J. G. Frazer, E-Newton Classici, Settembre 2012
Storia dei Longobardi, Jörg Jarnut, Einaudi, Torino, 2002
X Factor n° 38, Pubblicazione periodica edita dall’Istituto Geografico De Agostini, 1997-1998
(http://www.accento-news.it/news/worldnews/cronaca/)
(http://www.timmylove.altervista.org/tl/blog/moloch.html)
(http://www.archeomolise.it/archeologia/)
(http://archiviostorico.corriere.it/1999/luglio/02/)
(www.sapere.it)