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Aquila: origini e significato simbolico

Aquila (Aquila reale, Aquila chrysaetos, Aquila marina testa bianca Haliaeetus leucocephalus)

La maestosità di questo volatile ha fatto sì che quest’uccello sia stato adottato come simbolo fin dall’antichità dalle più svariate culture. Due esempi su tutti: l’aquila reale con le ali spiegate utilizzata come simbolo dell’Impero Romano e l’aquila calva (o testa bianca) simbolo degli Stati Uniti d’America.
Nel terzo millennio a.C., presso i babilonesi, l’aquila bicipite era associata a Ningirsu di Lagash, il dio delle tempeste della guerra e della fertilità. Presso gli antichi egizi  rappresentava la materializzazione del Dio Mendes, rappresentante del dio sole. In generale, nella mitologia egizia, l’anima veniva spesso rappresentata sotto le sembianze di un uccello simile a un’aquila o a un falco, come uccello-anima (Ba). Tale uccello aveva il compito di accompagnare i defunti nell’aldilà. Non a caso, all’interno dei sarcofagi di alcune mummie, e in particolare posti tra i bendaggi di quest’ultime, sono stati ritrovati gioielli preziosi rappresentanti gli uccelli-anima. Tali amuleti avevano la funzione di far sì che l’anima si ricongiungesse con il suo corpo mummificato. Il Ba, inteso come anima, assumerà la forma di un uccello e spiccherà il volo al momento della morte.

Ba

Ba – Divinità Egizia. Ha aspetto di uccello antropocefalo (testa di uomo e corpo di aquila) ed è sovente raffigurato mentre si reca a visitare la mummia del defunto nella tomba, apportando a questa il soffio di vita.

L’Aquila negli antichi miti

Nella mitologia greca l’aquila era sacra a Zeus (e successivamente a Giove per i romani) che, spesso, ne assumeva la forma per mostrarsi agli uomini. In altre versioni del mito greco l’uccello aveva il compito di portare i fulmini proprio a Zeus.
Questo uccello è presente nel mito greco di Prometeo, il titano che, con atto d’intollerabile ribellione, aveva rubato agli dei il fuoco della conoscenza per donarlo agli uomini. La vendetta di Zeus però non si fece attendere, infatti, Prometeo fu incatenato a una rupe del Caucaso, dove ogni notte un’aquila, messaggera di Zeus, andava a mangiargli il fegato che per i greci rappresentava, assieme al cuore, la dimora dei principi vitali. Il fegato di Prometeo però di giorno ricresceva, preparandolo a nuovi supplizi notturni.
Aristotele, Platone e Plinio scrissero che le aquile che fossero riuscite a superare l’infanzia avrebbero vissuto per lungo tempo.
Nella mitologia nordica, in particolare quella vichinga, ha un ruolo fondamentale e molteplice. Da evidenziare sicuramente la figura del gigante Thiazzi che assume la forma di un’enorme aquila per mostrarsi al dio Loki e per costringerlo, con la forza, a farsi consegnare la dea Idhuun che possedeva le mele della vita eterna.
L’importanza dell’aquila nella vita dei vichinghi è ben comprensibile anche da alcune pratiche che essi utilizzavano per vendicarsi dei traditori e dei nemici. Prima su tutte la pratica detta “aquila di sangue”, utilizzata come sacrificio al sommo dio Odino, un metodo di tortura che consisteva nell’aprire il dorso della vittima e rompere le costole per farle assomigliare ad ali insanguinate: in seguito dalla ferita venivano estratti i polmoni e sulle ferite veniva posto del sale.

Aquila di sangue vichinga

Antiche credenze egizie affermavano che ogni dieci anni un’aquila sorgesse dalle fiamme dell’inferno per immergersi nell’acqua e acquisire così nuova vita.
Come divinità era utilizzata ampiamente sia dai Greci che dai Romani; pare che un’aquila sia apparsa alla nascita di Alessandro Magno e, secondo una diffusa tradizione, nel 331 a.C., un veggente che cavalcava accanto ad Alessandro gli predisse che sarebbe stato vittorioso su Dario poiché aveva visto un’aquila: un presagio di sicura gloria.
L’aquila è stata comunemente associata a grandi personalità della storia e a grandi condottieri: pare che Re Artù abbia vissuto in una caverna sorvegliata da aquile e che prima delle battaglie di Napoleone un’aquila volasse nei cieli.
Per che, nell’Ottocento, fu lo stesso Napoleone a sostituire il tradizionale simbolo della Francia rappresentato dal gallo, con quello di un’aquila.

Citazioni bibliche

Numerose anche le citazione bibliche dell’aquila; tra queste vogliamo ricordare Esodo 19:4 e Deuteronomio 32:11,12): pari all’aquila che desta la sua nidiata, si libra a volo sopra i suoi piccini, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne. L’aquila quindi come rappresentazione di Dio stesso: Egli nominò l’aquila parlando con Giobbe per insegnargli l’umiltà (Giobbe 39:27): e forse al tuo comando che l’aquila si leva in alto?
Ezechiele sostenne di aver visto il carro della somma gloria divina condotto da quattro esseri misteriosi ognuno dei quali aveva quattro volti: d’uomo, d’aquila, di leone e di toro; una metafora che alludeva agli evangelisti.
Lo stesso concetto, seppur semplificato, è ripreso anche da Giovanni nell’ Apocalisse (Apocalisse 4,6-7), il quale sostiene che i quattro esseri viventi che conduce il trono divino hanno l’aspetto di un uomo, di un leone, di un toro e di un’aquila. Ognuno di questi esseri è considerato il più forte della propria specie.
L’importanza di quest’animale si evince anche dal fatto che l’aquila (l’occhio che fissa il sole) rappresenti uno dei quattro Apostoli, ossia Giovanni. Non a caso il suo Vangelo (Giovanni 1,1) inizia con l’estasi-ammirazione nei confronti di Dio: “In principio era il Verbo”.
Per i cristiani, infatti,  simboleggia la resurrezione perché è l’unico uccello che possa guardare fisso il sole.
Anche Dante nella Divina Commedia, nomina spesso l’aquila: in particolare nel verso 48 del I canto del Paradiso, egli scrive: Aquila sì non gli s’affisse unquanco. Il sommo poeta utilizza l’allegoria dell’uccello riferendosi alla sua guida nel Paradiso, Beatrice, capace di contemplare il sole con profondità e immobilità.
Un’altra tradizione sostiene che Adamo ed Eva non perirono, ma furono trasformati in aquile per poter vivere in eterno su un’isola al largo della costa irlandese.

Animale totem

Presso le tribù native americane l’aquila era un importante animale totemico, infatti, le sue penne, erano utilizzate come indumenti, copricapo e altri oggetti cerimoniali. Solo i più meritevoli, fieri e coraggiosi delle tribù potevano adornare il capo con le penne di quest’uccello.
A tal proposito è necessario comprender cosa sia un totem: la parola totem deriva dagli indiani Algonchini e, tradotto, assume il significato di spirito protettore. Gli spiriti totem, dal punto di vista mistica, rappresentano il destino comune che unisce gli animali agli uomini. L’animale totem assume le sembianze di antenato e alter ego animale (che ognuno di noi ha) e, in quanto tale, deve essere protetto e non può essere mangiato. Gli spiriti totem proteggono l’uomo che si affida a loro, che li onora e venera. Non a caso nel palo totem, avente funzione protettiva per le popolazioni indiane, l’animale seduto nella parte sommitale del palo era proprio un’aquila. Sempre secondo i popoli della prateria e dell’America del Nord gli animali forti come l’aquila vivono nell’aldilà e la loro presenza, percepibile nella nostra quotidianità, influisce favorevolmente sulla nostra vita.

L’aquila nella tradizione Cherokee

Secondo la tradizione Cherokee, compito arduo era considerato andare a cercare le penne dell’aquila necessarie per la sacra danza dell’aquila; il cacciatore doveva recarsi da solo sulle montagne per quattro giorni, senza mangiare e pregando. Per attirare l’aquila si poteva utilizzare una carcassa di cervo e, tramite canti magici, una volta uccisa, l’aquila veniva lasciata sul luogo della morte in modo da poter celebrare successivamente sacri riti.
Presso i nativi dell’America del Nord (ad esempio Navajo) era credenza diffusa che l’aquila del Sud-Ovest fosse un messaggero inviato dagli dèi. Gli Hopi a febbraio prendevano alcune piccole aquile dai loro nidi per portarle nei villaggi e allevarle con cura, viziarle e regalandole anche piccoli doni. In estate poi, durante il periodo delle cerimonie, erano condotte nelle grotte rituali e lì sacrificate assieme ai giocattoli regalati. Scopo di questo sacrificio era di far raccontare alle aquile degli uomini agli dèi e chiederne aiuto e grazia. Similmente alle popolazioni indiane delle regioni meridionali, quelle del Nord-Ovest pensano che l’aquila sia l’uccello che si trova a diretto contatto con il Grande Spirito e che possa volare fino alle sfere celesti; questo perché il coraggio spirituale di quest’animale è molto forte e rasenta il divino. I guerrieri che indossavano le sue piume  s’identificavano con la potenza del dio aquila che infondeva in loro forza e coraggio, e le cuffie di piume simboleggiavano l’uccello e il tuono mentre, le singole piume, erano la trasposizione dei raggi di sole. Nella tradizione indiana si ritrova una similitudine con quanto già detto circa il concetto espresso da Giovanni Apostolo, in altre parole che l’aquila è in grado di guardare direttamente il sole: essa è in grado di avvicinarci al Grande Spirito e, quindi, a farci unire alla nostra anima.

Talismano e amuleto

Secondo la tradizione indiana, l’aquila come talismano aiuta ad avere visioni ed essere illuminato, a sviluppare le capacità tipiche di quest’uccello come la capacità di difendere, la costanza, la forza, l’agilità, la velocità, la capacità visiva di osservazione e la percettività, di raggiungere un livello di comprensione elevato, di farci sentire uniti al Grande Spirito, di affidare i nostri problemi agli spiriti celesti per trovare soluzioni.
Come amuleto ha lo scopo di proteggere dalla paura, dalle crisi di fede e, dal punto di vista materiale, di proteggerci dai fulmini.
Nella tradizione e nella superstizione europea centro-meridionale si dice che per allontanare gli spiriti maligni da una stalla, è sufficiente inchiodare un’aquila alla porta e che se un uomo mangia il suo cervello quando è ancora caldo, egli sarà in grado di avere visioni straordinarie. E ancora, se un uovo di aquila viene mangiato da due persone, certamente i demoni si allontaneranno senza fare più ritorno. Un’altra tradizione gallese asserisce che non si deve mai rubare un uovo da un nido d’aquila, altrimenti non si troverà mai pace fino alla morte.

Significato esoterico-simbolico

L’aquila bicipite infine, utilizzata da tempi remoti dalle più svariate popolazioni e simboleggia il principio della dualità, rappresenta uno dei simboli più importanti della massoneria e di varie società segrete. Nella massoneria scozzese essa rappresenta il trentaduesimo e il trentatreesimo grado del rito scozzese: entrambi numeri dal profondo significato cabalistico dal punto di vista massonico (trentadue, ad esempio, sono i sentieri dell’Albero della vita). Solitamente, nel rito scozzese, l’aquila bicipite è rappresentata con il numero trentadue inserito all’interno di un triangolo e che tiene negli artigli un cartiglio con la scritta latina “Spes mea in Deo” est, ossia “la mia speranza è in Dio”: un Dio differente dalla concezione biblica. Ultima curiosità degna di nota è che sulle banconote da un dollaro americano sia raffigurata un’aquila ad ali spiegate che ha esattamente trentadue piume.
Le caratteristiche di forza e coraggio di quest’animale si ritrovano anche nell’interpretazione dei sogni. Sognarne una in volo indica ambizione ed è di buon auspicio, sognarla ferita indica invece una grossa perdita di denaro e vederla morta presagisce rovina.

Il mistero della materia oscura (antimateria)

Introduzione

Scopo di questo articolo è quello di suscitare nel lettore curiosità e interesse nei confronti di un argomento estremamente interessante e tutt’ora studiato in ambito fisico, ossia l’antimateria.

Con estrema cautela e modestia mi approccio a quest’argomento, principalmente per un valido motivo: non sono un fisico quantistico e nemmeno ambisco ad esserlo.

Per indurre spunto di riflessione è comunque necessario partire sommariamente dalla fisica per giungere addirittura a ciò che è scritto nel mito di civiltà precedenti alla nostra: esistono punti in comune oppure no? I due argomenti possono essere correlati oppure porli in relazione è solo un’operazione di fantasia?

Credo che non esista una riposta univoca ma, piuttosto, risposte soggettive che variano in base al proprio livello di consapevolezza.

Io stesso ho una formazione scientifica e, proprio per questo, conosco bene le difficoltà nell’applicare validi e rigorosi modelli matematico-fisici che approssimino con il minor margine di errore (e che siano “sempre” validi) fenomeni naturali che noi tutti osserviamo o percepiamo.

Wikipedia descrive in questo modo il metodo scientifico sperimentale:

Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile: esso consiste, da una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la guida delle ipotesiteorie da vagliare; dall’altra, nell’analisi rigorosa, logico-razionale e, dove possibile, matematica di questi dati, associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galilei, le «sensate esperienze» alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione alla matematica”.

Ottima e sintetica spiegazione se non fosse, secondo un’opinione meramente personale, che non esiste una realtà oggettiva collettiva ma, piuttosto, una percezione della realtà che, in quanto tale, è soggettiva.

Ciò che ognuno di noi “vede” non è la realtà, ma un intendimento di essa: quello che superficialmente può sembrare un labile e minimo confine quasi sfumato, cela in verità un vero e proprio abisso.

Premesso questo,  posso affermare di essere un sostenitore della scienza e del “linguaggio” che si utilizza in ambito scientifico che è quello matematico; sono un ammiratore delle brillanti menti di scienziati che hanno prodotto indubbi benefici per l’uomo e per il progresso della civiltà, ma sono altresì consapevole che la scienza non è dogma divino, che è in continua evoluzione e che, se messa in relazione con altri saperi filosofici, antropologici, teologici e affini, possa condurci ad un maggior sviluppo della propria coscienza che d’altronde fa rima con conoscenza.

Antiparticelle

Il 2 gennaio del 1928, alla rivista Proceedings of the Royal Society fu spedito un articolo intitolato “La teoria quantistica dell’elettrone”, presentato da Fowler e firmato da Dirac. Lo stesso Dirac scriveva:

In questo lavoro si vede come la mancanza di completezza delle teorie precedenti (equazione di Klein-Gordon e teoria di Pauli sullo spin) sia dovuta al fatto che non sono consistenti con la relatività o, alternativamente, con la teoria generale della trasformazione della meccanica quantistica. Sembra che l’hamiltoniano più semplice per un elettrone puntuale che soddisfi principi base sia della relatività che della teoria della trasformazione permetta di spiegare tutte le evidenze sperimentali senza bisogno di alcuna supposizione ulteriore”.

In sintesi il giovane e brillante fisico Paul Dirac stava studiando e sviluppando una teoria plausibile che descrivesse il comportamento delle particelle subatomiche. L’aspetto più sorprendente di tale teoria consisteva nel fatto di ammettere che per ogni particella dotata di carica ne esista un’altra dotata di massa identica, ma di carica opposta (antiparticella nella fisica odierna).

Dirac ipotizzò che particelle come ad esempio l’elettrone si muovessero formando delle lacune caratterizzate da energia negativa: l’elettrone quindi doveva avere un’antiparticella con stessa massa, ma carica elettrica opposta a quella negativa di un normale elettrone. Fu così che Dirac intuì l’esistenza di una particella gemella dell’elettrone, chiamato poi positrone.

Gli esperimenti di Carl Anderson, nel 1932, confermarono proprio l’esistenza del positrone, che ha stessa massa dell’elettrone, ma carica opposta.

La previsione di Dirac trovò conferma sperimentale nel 1932 e in particolare dagli esperimenti Carl Anderson che confermarono proprio l’esistenza del positrone, particella con eguale massa dell’elettrone, ma con carica opposta.

Dirac, poi premiato con il premio Nobel per la fisica assieme al fisico austriaco Erwin Schrödinger, intuì per primo ciò che la fisica moderna ha confermato, ossia che tutte le particelle con momento angolare intrinseco (spin) semintero devono avere anche un’antiparticella. Particelle di identica massa, ma con segno matematico opposto. Per cui ad un elettrone corrisponde un antielettrone (positrone), ad un protone un antiprotone e anche alle particelle elettricamente neutre come il neutrone corrispondono antiparticelle. Antiparticelle con stessa massa delle loro speculari ma con carica elettrica opposta: ecco a voi signori …l’antimateria. E il fotone che altro non è che un quanto di luce (Planck docet)? Non vogliamo addentrarci in questioni di fisica e meccanica quantistica ma, probabilmente, anche al fotone, “mattone” del NOSTRO universo, corrisponde un antifotone: o meglio, il fotone è l’antiparticella di sé stesso. Riassumendo, La fisica quantistica ha dimostrato che tra le particelle esiste una simmetria fondamentale: per ciascuna di esse può esisterne una simmetrica, dotata della stessa massa, ma con carica elettrica opposta. Per quanto riguarda le altre proprietà, anch’esse sono uguali o uguali con segno opposto. A ogni particella corrisponde quindi un’antiparticella: così l’elettrone ha come antiparticella una particella di carica positiva, il positrone; il protone ha l’antiprotone, etc.

Annichilazione

Che cosa succede quando una particella di materia e la propria antiparticella s’incontrano? Si annichilano, ossia si distruggono per diventare energia e, più in dettaglio, si produce radiazione elettromagnetica. L’energia della radiazione prodotta è uguale a quella della massa delle due particelle moltiplicata per la velocità della luce al quadrato. A parte il concetto fisico di annichilazione, ciò su cui vorrei porre l’attenzione è il fatto che l’antimateria (antiparticelle) non può non essere osservata, proprio perché talora incontri materia (particelle), a causa del fenomeno dell’annichilazione, necessariamente deve essere prodotta energia sottoforma di radiazione elettromagnetica.

Adesso proverò a spiegare in maniera sintetica un concetto interessante e fondamentale: originariamente, ossia quando si è creato l’universo a partire dal Big Bang, esisteva una perfetta simmetria tra materia e antimateria: ciò sostiene la fisica moderna e ciò sosteneva anche Dirac. È altresì il mondo in cui viviamo (anche noi stessi) è fatto di materia, in quanto rilevabile, misurabile e quantificabile. Anche l’universo osservabile lo è.

Secondo le teorie di Dirac e degli scienziati che successivamente hanno contribuito a espandere i suoi studi, proprio per la simmetria universale tra materia e antimateria teoricamente dovrebbero esistere lo stesso numero di stella e antistelle, di galassie e antigalassie. Per cui è presumibile presupporre che esista un universo fatto di antimateria in cui esiste anche, ad esempio, un anti-Ottavio! Tale presupposto sembra essere stato confermato anche dagli studi fisici moderni, ad esempio presso il CERN di Ginevra un gruppo di scienziati (tra cui cinque italiani) è riuscito a e rivelare uno sciame di 80 atomi di antiidrogeno, ossia atomi di idrogeno costituiti da antiprotoni e antielettroni.

Tutto chiaro fino a qui? Proseguiamo!

Dov’è finita l’antimateria?

Se nell’universo conosciuto esistessero “zone” di materia e “zone” di antimateria, dovremmo essere in grado di saperlo in quanto le regioni di contatto tra le zone suddette dovrebbero necessariamente produrre ingenti quantità di radiazioni elettromagnetiche proprio a causa del fenomeno dell’annichilazione. Allo stato attuale l’uomo è in grado di misurare con precisione la radiazione elettromagnetica per cui, se ciò avvenisse, sarebbe fenomeno noto.

Il problema è che tale radiazione non è mai stata misurata e quindi è plausibile presupporre che nell’universo osservato non vi sia antimateria, oppure non vi siano grandi quantità di essa. Dov’è finita quindi l’antimateria? Se fosse realistica la teoria della perfetta simmetria tra materia e antimateria oggi l’universo sarebbe composto da sola radiazione elettromagnetica: così non è.

Uno dei grandi misteri della fisica moderna è, infatti, capire perché sia venuta meno l’originale simmetria tra materia e antimateria a seguito del Big Bang, dove sia finita l’antimateria e perché non vediamo, ad esempio, antistelle, antigalassie e persino un antiuniverso. Attualmente sono in corso studi scientifici molto importanti per provare a dare una spiegazione a questo fatto.

Tralasciando volutamente in questo articolo la teoria del Big Bang perché ci distoglierebbe dall’obiettivo di ragionamento che ci siamo posti inizialmente, la questione su cui riflettere è questa: esiste l’antimateria nell’universo, all’inizio vi era simmetria tra essa e la materia, ma adesso non è osservabile e rilevabile se non in minima parte in quanto il nostro universo è composto quasi interamente da materia. Quindi?

La comunità scientifica è attualmente indaffarata per cercare di dare una risposta a questo mistero. Un recente studio basato sulla misurazione della radiazione cosmica di fondo (iniziale) in confronto con la densità della materia attualmente presente nell’universo, si può presuppore che in origine (intendendo per origine il momento in cui si è formato l’universo), vi era un minimo, esiguo, piccolissimo eccesso di prevalenza di materia rispetto all’antimateria. Ossia per ogni miliardo di coppie di particelle di materia e di antimateria esisteva un protone in “eccesso” che non ha trovato quindi la sua controparte (un antiprotone) per annichilarsi: da questo protone sfuggito quindi all’annichilazione si sarebbe formata tutta la materia che attualmente compone l’universo.

In pratica per tentare di spiegare l’antimateria mancante si presuppone che originariamente la simmetria fosse leggermente sbilanciata verso la materia, quindi potremmo dire una minima asimmetria!

Recenti studi ed esperimenti realizzati dal CERN sembrano restituire risultati estremamente interessanti. Essi sembrerebbero mostrare infatti un’asimmetria nel decadimento di alcune particelle barioniche, i pesanti barioni bottom lambda. Tali barioni, di massa circa sei volte maggiore di quella di un neutrone, costituiscono, così come le loro controparti d’antimateria, gli antibarioni, uno degli esiti possibili delle collisioni fra coppie di protoni che vengono realizzati. Dal decadimento di questi barioni e antibarioni si creano un protone o un antiprotone più tre particelle cariche chiamate pioni. Saremmo di fronte quindi a una violazione della simmetria originaria nell’universo tra materia e antimateria. La sperimentazione in questo senso è tutt’ora in corso.

In realtà l’antimateria è riproducibile in laboratorio (necessità di grandi quantità di energia e i costi sono esorbitanti), è in un certo senso misurabile nei raggi cosmici, nei decadimenti radioattivi, durante i temporali tramite l’azione dei lampi, ma l’antimateria si annichila rapidamente con la materia. Per cui nell’universo l’antimateria è presente in minima parte, ma resta il problema nello spiegare l’abnorme abbondanza della materia rispetto all’antimateria.

Universo e antiuniverso

Il nostro universo potrebbe avere una sua controparte nascosta, nata anch’essa con il Big Bang: un antiuniverso fatto di antimateria, e in cui il tempo scorre a ritroso. L’ipotesi potrebbe spiegare che fine abbia fatto l’antimateria sopravvissuta al contatto con la materia agli albori del cosmo, circa 14 miliardi di anni fa (studio pubblicato sulla rivista scientifica Physical Review Letters e condotto dai ricercatori dell’Istituto canadese Perimeter, coordinati dal fisico sudafricano Neil Turok).

In questo studio è stato sviluppato un «modello cosmologico che permette di estendere l’universo oltre il Big Bang», hanno spiegato. La storia dell’universo è infatti iniziata con uno scontro immane tra materia e antimateria, che si è risolto in un lampo di energia con la supremazia, seppur di una minima parte, della materia, nonostante subito dopo il Big Bang le loro quantità fossero quasi perfettamente simmetriche. Se fosse andata diversamente, tutto ciò che ci circonda, uomo compreso, probabilmente non esisterebbe, o avrebbe un altro aspetto. «Si tratta di uno studio interessante e innovativo, anche se ancora da approfondire, che cambia il quadro cosmologico tradizionale con all’inizio il Big Bang», ha spiegato all’Ansa Antonio Masiero, vicepresidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. «Se potessimo vivere in questo antiuniverso, vedremmo scorrere tutto indietro nel tempo a partire dal Big Bang, e noteremmo solo antimateria, anzi lo saremmo anche noi. In base a questo modello cosmologico, non ci sarebbe bisogno di un periodo di espansione rapidissima dopo il Big Bang, l’inflazione, per spiegare la produzione di materia, compresa la materia oscura. Inoltre – ha concluso Masiero – potrebbero non esistere nuove particelle sconosciute oltre il modello standard», l’architettura di riferimento della fisica moderna.

In pratica il nostro universo potrebbe essere l’immagine speculare di un universo costituito da antimateria, che si sarebbe esteso a ritroso, nel tempo, prima del Big Bang. Le notizie sopra riportate sono di facile reperibilità anche nel web ma, oltre a fornire una spiegazione circa il fatto di dove sia finita l’antimateria, aprono le frontiere ad un’ipotesi di estremo interesse: l’esistenza di un universo “parallelo” formato interamente da antimateria!

Affascinante teoria…ma andiamo a scoprire come le mitologie di antiche civiltà descrivono la creazione dell’universo…!

Genesi dell’universo e del mondo nella mitologia norrena

“In principio era Ginnungagap, ovvero il vuoto beante ovvero il vasto abisso, uno spazio senza limiti che si estendeva all’infinito in ogni direzione, capace di contenere un miliardo di universi e di essere ancora praticamente vuoto.

Chi avesse potuto contemplarlo sarebbe stato preda della vertigine, si sarebbe sentito senza peso, terrorizzato da quella mancanza di lunghezza e larghezza, di alto e di basso. Nel Ginnungagap non era nulla che il pensiero umano potesse cogliere, non una goccia d’acqua, un filo d’erba, un granello di sabbia e né luce né tenebra, né silenzio né suono: null’altro che un vuoto beante, che tuttavia non era affatto tale. Il vuoto era informe, ma non conteneva solo vuoto: un segreto noto solamente agli dei.

Dopo il principio, il nulla cominciò a essere qualcosa, e in esso apparvero due regioni contrastanti. In primo luogo la regione del fuoco, detta Muspellheim, dove nessuna creatura comune poteva vivere poiché la terra ardeva e l’aria era in fiamme. In seguito i giganti del fuoco fecero della Muspellheim la loro dimora.

Gli Aesir (dei, principali divinità della società e delle sue gerarchie) avevano cura di stare lontani da quella regione perché il calore era così intenso, le fiamme così ardenti, che tutto veniva ridotto in cenere anche dalla distanza di un milione di miglia e, cosa più spaventosa ancora, Surt, il più feroce dei giganti di fuoco, montava di guardia sulle frontiere ardenti, stringendo nel pugno fiammeggiante una spada di fuoco. Surt sbarrava la strada a chiunque. Compresi gli Aesir, gli dei. Era lì fin da l’inizio e sarebbe stato lì fino alla fine, il Ragnarok, quando il loro destino si sarebbe compiuto.

La seconda delle grandi regioni del Ginnungagap, il vasto abisso, era un freddo, squallido deserto di ghiaccio e neve e di gelida nebbia chiamato Niflheim. Al pari del Muspellheim, anch’esso esistito per innumerevoli ere prima che la nostra terra fosse creata.

Al centro del Niflheim erompeva schiumando la sorgente di tutte le acque, un enorme fontanile chiamato Vergelmir, vale a dire caldaia ruggente. Tutti i fiumi di ogni tempo hanno tratto origine dal Vergelmir.

Nel Niflheim vi era un’altra sorgente tumultuosa, Elivagar ovvero acque gelide, e anch’essa era sorta da fonti ignote fin da tempi immemorabili.

La parte settentrionale del Ginnungagap si trovò a essere tutto ghiaccio e brina, mentre la parte meridionale era un rutilare di scintille e gas eruttati dal Muspellheim.

Era inevitabile che, dopo migliaia di secoli, le regioni del ghiaccio e del fuoco nell’enorme vuoto s’incontrassero, e quando questo accadde si verificò un fenomeno singolarissimo, che nessuno, dacché il mondo esiste, è stato in grado di spiegare: il sorgere della vita. Là dove i due elementi coabitavano, il vuoto era dolce come un cielo senza venti, ma allorché il ghiaccio del Niflheim toccò il fuoco della Muspellheim si ebbe un’esplosione accompagnata da un enorme frastuono. Le frammentanti gocce di veleno che sgorgavano ribollendo dall’Elivagar, furono trasformate dal fuoco in vita, la quale a sua volta formò il corpo di un gigante che si estendeva per il Ginnungagap in tutta la sua lunghezza e larghezza. Il nome del gigante era Aurgelmir, che significa caldiera di fango, altri invece lo chiamavano Ymir”.

Questo è ciò che raccontano gli Aesir, gli dei, a re svedese Gylfi. Il racconto facente parte della mitologia vichinga continua fino a delucidare la creazione del mondo conosciuto e degli uomini, ma al momento, c’interessa concentrare la nostra attenzione su questa prima parte che spiega l’inizio di tutto, partendo da un infinito abisso chiamato Ginnungagap, delimitato da due mondi opposti (quello del ghiaccio e quello del fuoco). 

Genesi dell’universo e del mondo nella mitologia cinese

“In principio, l’universo era un buio caos, una negra massa di nulla. Cielo e Terra non erano separati, né lo erano notte e giorno, e non formati erano il Sole, la Luna e le galassie.

Per poter concepire quest’inimmaginabile insieme di tempo e spazio, alcune popolazioni lo pensarono come un grosso uovo, e in questa buia massa ebbe origine Pangu, il primo essere dell’universo. Pangu crebbe nella totale oscurità e dormì per millenni e millenni.

Quando si svegliò, era ormai un gigante e, resosi conto di stare nel caos, decise di creare l’ordine. Afferrata una pesante ascia, sferrò un poderoso colpo al guscio, spaccandolo.

Le parti più leggere salirono galleggiando, e divennero il cielo; le più pesanti precipitarono e divennero Terra.

Così separati gli elementi, Pangu, per timore che si riunissero, prese a spingere con le mani il cielo, nel frattempo premendo la Terra con i piedi per tenerla lontana, e ogni giorno spingeva il cielo più in su di uno zhang (circa 3 metri). Pangu diveniva ogni giorno più alto, finché si trovò a reggere il firmamento in guisa di pilastro.

Stette così per interi eoni, fino a quando il Cielo e Terra si solidificarono e non vi fu più pericolo che si riunissero per formare il caos”.

Anche in questo caso il mito cinese racconta che partendo dal caos, dall’abisso oscuro senza ordine, vi fu una separazione e furono creati così il Cielo e la terra.

Pangu. Illustrazione di Jhonny Pau – Dei, Draghi e Eroi della Mitologia Cinese. Tao TaoLiu Sanders, Arnoldo Mondadori Editore, 1981

Genesi dell’universo e del mondo nel mito pelasgico

Con il termine Pelàsgi s’intende l’insieme delle popolazioni preelleniche della Grecia, generalmente considerate autoctone e antenate dei Greci stessi.

Treccani: “Nome con cui gli antichi indicavano una popolazione che ritenevano avesse abitato la Grecia e anche altri territori (Caria in Asia Minore, Creta, Sicilia, Italia meridionale, Etruria, ecc.) prima dell’immigrazione in Grecia delle genti elleniche. Alcuni studiosi considerano i p. come puro prodotto di fantasia o come un termine generico atto a indicare la popolazione originaria dell’Ellade; altri, invece, propongono di identificarli con una popolazione illirica dislocata su un’ampia area geografica o con gli originari abitanti della Pelasgiotide, col tempo sopraffatti dai tessali, ma greci anch’essi”.

Ed ecco come nel mito pelasgico viene descritta l’origine di tutto.

“All’inizio la Dea di Tutte le Cose, Eurinome, emerse dal Caos e, non trovando nulla su cui appoggiare i piedi, separò il mare dal cielo e intraprese una danza in solitario sulle onde. Danzando, s’accorse che alle sue spalle soffiava un vento, nuovo e diverso. Perciò incontrò il Vento del Nord (Boreas) e decise di iniziare la creazione con esso. Boreas infatti era un vento fecondo, contenente il Cosmo. Continuando a danzare all’infinito, creando onde a forma di spirale, dal Vento del Nord si creò il maestoso serpente Ofione, con il quale Eurinome s’accoppiò. La Dea, trasformandosi in colomba, depose l’Uovo Universale, attorno al quale Ofione s’arrotolò sette volte, finché ne uscirono tutte le cose esistenti: il sole, la luna, le stelle, i pianeti, le montagne, i fiumi, le foreste e gli esseri viventi. Poco dopo la Coppia Cosmica si stabilì sul Monte Olimpo, dove Ofione si vantava d’essere egli stesso il Creatore dell’Universo, motivo per il quale Eurinome s’irritò e lo cacciò nelle buie caverne sotterranee. In seguito la Creatrice di Tutto creò le potenze planetarie e a capo di ciascuna vi mise i Titani”.

Genesi dell’universo e del mondo nel mito induista

Il mito induista è uno dei più complessi e affascinanti dell’universo mitologico antico e, probabilmente, di non facile comprensione per gli occidentali.

In tale contesto le spiegazioni circa la creazione dell’universo appaiono leggermente differenti al variare del periodo storico. Ad esempio, i Veda fanno riferimento a Purusha, letteralmente “L’Uomo Cosmico”, sacrificato dagli dèi per la creazione dell’universo. In pratica Purusha sacrifica una parte di sé per dare origine all’umanità e all’universo stesso.

Purusha, rappresenta l’Energia Cosmica Spirituale, la coscienza cosmica immutabile, di cui nel microcosmo ritroviamo il riflesso nella coscienza di un individuo non identificata nella materia.

Nel Brahmanesimo Purusha è sostituito da Prajapati (ossia Il Sacerdote Cosmico).

Prajapati, signore di ogni creatura e primordiale essere dell’universo, divise sé stesso creando un uomo ed una donna, dando inizio alla vita sulla Terra Con la redazione dei Purana, il ruolo di Creatore dell’Universo è affidato a Brahma. Brahma non è una divinità suprema, ma rappresenta uno dei tre aspetti della divinità suprema (Trimurti). Nell’Induismo, l’universo è una realtà destinata a scomparire temporaneamente, fino al momento in cui sarà creato un nuovo universo.

Questi cicli di distruzione-creazione sono opera della Divinità Suprema, denominata con l’appellativo di Bhagavat o Svayambhu. Secondo la cosmografia esposta nei Purana, l’intero universo si trova circoscritto dal guscio dell’Uovo Cosmico, denominato Brahmanda.

Dopo essere rimasto per un secolo nell’uovo d’oro, Brahma lo rompe e fuoriesce, creando nella parte superiore dell’uovo il mondo Celeste, nella parte inferiore la Terra e in mezzo l’Etere (lo spazio).

Per cui, riassumendo, l’intero universo altro non è che l’Uovo Cosmico.

La Dualità e la Simbologia nel mito

Ho sinteticamente esposto le spiegazioni fornite da alcune mitologie per quanto riguarda la creazione dell’universo.

In principio era il caos: Ordo ab chao, dal caos all’ordine, recita il motto latino utilizzato nel rito massonico scozzese e, in ambito alchemico, per caos s’intende la definizione della materia prima non ancora nobilitata. Gli elementi che descrivono la creazione dell’universo dal “nulla originario”, che si chiami Caos o Ginnungagap, sono comunque comuni ai miti di altre precedenti culture come ad esempio quella giapponese, coreana, polinesiana, celtica, finnica, peruviana: l’elencazione sarebbe lunga.

Non occorre essere lettori particolarmente attenti per notare che vi siano dei punti in comune sorprendenti tra le varie concezioni dell’universo nelle culture descritte.

L’uovo in primis, su cui non ci soffermeremo, rappresenta un simbolo fondamentale in quasi tutte le civiltà, ha un ruolo determinante nella concezione alchemica ed ermetica e da sempre ha svolto una funzione apotropaica, ossia di protezione dagli influssi maligni e negativi, fino ai giorni d’oggi.

Occorre considerare che ogni mitologia eleva al rango di simboli determinate fenomenologie e determinate persone, reali o mitiche che siano. È possibile d’altronde affermare che le varie civiltà antiche abbiamo attinto da un patrimonio comune di forme (e simboli) originarie che altro non sono che archetipi. L’archetipo per la psicologia junghiana è un processo psichico fondante delle culture umane, in quanto esprime i modelli elementari di comportamento e rappresentazioni derivanti dall’esperienza umana in tutti i tempi della storia, in connessione con un altro concetto junghiano, quell’inconscio collettivo.

Credo di non essere in errore affermando che l’aspetto più importante presente in pressoché tutte le mitologie, soprattutto quelle indoeuropee, sia il dualismo che si fonda sull’esistenza e la coesistenza di due principi apparentemente antagonisti, grazie ai quali ha origine l’universo conosciuto.

Un esempio chiaro di dualismo presente nella nostra cultura? Il bene e il male.

In particolare, l’origine della cosmologia norrena ha origine dalla dualità: in principio c’era il Ginnungagap, definibile come il vuoto beante o il vasto abisso, delimitato da due opposti mondi, quello del ghiaccio e quello del fuoco. Dall’incontro-scontro dei due mondi, similmente a un’eruzione vulcanica, ebbe origine il primo essere conosciuto, il gigante Ymir, anch’esso elemento duale in quanto né uomo né donna (potremmo definirlo androgino).

Gli esempi di dualità nel mito sono molteplici. Altro esempio è l’antica rappresentazione cinese del sistema dualistico, il “celebre” Yin-Yang. Yin, ossia la parte femminile, il nord, il freddo, l’ombra e l’oscurità: Yang, la parte maschile. Il cielo, il sud, la luce.

La divisione in due parti, in due poli è realizzata attraverso una bipartizione a S della forma circolare, in cui la parte scura viene assegnata allo Yin, quella chiara allo Yang. Solo da questa polarità nascono i cinque elementi e, di conseguenza, la molteplicità del mondo. Per evidenziare la loro reciproca dipendenza, è posto un centro chiaro nella parte dello Yin e un centro scuro in quella dello Yang.

Questo spiega e dimostra che in realtà non si tratta di un conflitto tra elementi opposti, tra luce e oscurità con l’obiettivo della supremazia di uno dei due sull’altro, ma dell’espressione di un’integrazione complementare dell’uno attraverso l’altro. In pratica l’uno non può esistere senza l’altro e che i due opposti in realtà devono essere visti come un elemento solo, una sola cosa: l’esatto opposto della concezione duale!

Genesi dell’universo nel mito e nella fisica moderna, possibili somiglianze?

Quello che leggerete di seguito potrà sembrare ad alcuni una forzatura, a molti pura fantasia, ad altri probabilmente no: per evitare questo, consiglio di prendere le mie considerazioni come una favola, una romantica novella o, se preferite, come un bisogno meramente personale di fornire spiegazioni a ciò che è ignoto.

Dato che certe persone “pendono dalla bocca della scienza” (e non sarò certo io a criticarli per questa motivazione perché forse hanno ragione), partiamo dunque da essa.

Come spiega la scienza l’inizio del tutto?

Sommariamente, secondo la teoria del Big Bang, l’universo sarebbe nato da un’esplosione iniziale, da una singolarità, intendendo per tale una regione di spazio estremamente densa e limitata, in cui tutta la massa era inizialmente concentrata come energia in condizioni di contorno di temperature elevatissime. In un istante iniziale, denominato tempo zero, l’esplosione della singolarità fece espandere lo spazio, la massa e l’energia a grande velocità e in tutte le direzioni, creando così l’Universo conosciuto. Tra l’altro in ambito scientifico per singolarità s’intende un punto dello spazio-tempo in cui la forza gravitazionale è infinta (ed anche la densità): per cui, in tali condizioni, la teoria della Relatività Generale di A. Einstein va a farsi benedire in quanto non applicabile (ecco perché si utilizza il termine singolarità).

Uno dei punti cardine della teoria del Big Bang, avvenuto all’incirca 14 miliardi di anni fa, è la radiazione cosmica di fondo, ossia la radiazione originata pochi istanti dopo la grande esplosione. A causa delle enormi distanze e della velocità della luce, soltanto oggi riusciamo ad “vederla”. Di fatto è la radiazione elettromagnetica più lontana nel tempo e nello spazio che riusciamo ad apprezzare dal nostro pianeta.

Inoltre abbiamo già detto che recenti studi ipotizzano l’esistenza di due universi “paralleli”: uno costituito da materia, ossia quello in cui viviamo ed uno fatto di antimateria (che ipotizziamo).

Gli universi contrapposti di materia e antimateria sarebbero derivati a seguito della grande esplosione.

Andiamo adesso a riassumere ciò che è scritto e tramandato nel mito norreno: c’è il grande abisso iniziale e originario (Ginnungagap), ci sono due grandi regioni (una fredda e una calda) e vi è, infine, una grande esplosione da cui nasce l’universo, da cui fluisce tutto ciò che è conosciuto.

Proviamo ad attribuire alle due regioni del vuoto originario (Ginnungagap), il significato di universo costituito da materia per quanto riguarda la regione calda e di antiuniverso costituito da antimateria per quanto riguarda la regione fredda (o viceversa). Tentiamo altresì di sforzarci di interpretare l’immane esplosione dovuta all’incontro tra la regione fredda e quella calda come il Big Bang…! Interessante, vero?

Ricordo inoltre che uno dei quesiti irrisolti della fisica moderna è quello di comprendere perché sia venuta meno l’originale simmetria tra materia e antimateria all’indomani del Big Bang, dove sia finita l’antimateria e perché non la vediamo, misuriamo e quantifichiamo in ambito sperimentale.

Vi chiedo un ultimo sforzo. La comunità scientifica, indaffarate a spiegare questioni oscure in quanto tutt’ora irrisolte, in relazione all’originaria simmetria tra materia e antimateria e, soprattutto, per tentare di dimostrare il fatto che il “nostro” universo sia costituito essenzialmente da materia, sostiene che probabilmente all’inizio vi era piccolissimo eccesso di prevalenza di materia rispetto all’antimateria. Il famoso protone solitario che, non avendo trovato la sua controparte (antiprotone) per annichilarsi, avrebbe dato origine alla materia che attualmente compone l’universo. Attenzione, stiamo parlando di scienza e non di mitologia!!

Facciamo un salto indietro per giungere all’antica cultura cinese: è già stato delucidato il significato di Yin e Yang. Anche se i due elementi dovrebbero essere considerati di eguale rango in realtà, nella Cina antica, linguisticamente la successione Yang-Yin non compare mai come ci si aspetterebbe in quanto vi è una piccola predominanza dell’elemento Yang. Tale superiorità va ricercata nell’ambito antropologico e, probabilmente, deriva dalle associazioni prevalentemente negative associate all’elemento Yin.

Se associassimo allo Yang il significato di materia e allo Yin quello di antimateria? Sulla base di quanto esplicitato vi sarebbe quindi una leggera prevalenza della materia rispetto all’antimateria. Eureka! Non è che gli antichi cinesi fossero già a conoscenza dell’ormai mitico, stoico ed eroico protone che ha dato origine a tutta la materia del nostro universo? Ma no, probabilmente sto vaneggiando!

Universo non locale, frattalico e …non duale?

Un caro amico, Corrado Malanga, persona squisita di rara intelligenza e di elevata coscienza, una volta disse piu o meno queste parole (tra l’altro, se non erro durante una trasmissione televisiva): “una persona può aver letto anche mille libri, ma se non li ha capiti è come se non li avesse letti”. Questa frase, apparentemente sarcastica e per qualcuno “not politically correct”, in realtà nasconde una grande verità da cui ne consegue un’enorme consapevolezza.

Ad esempio spesso nel mito ci sono scritte molte cose interessanti, con linguaggi e pensieri ovviamente influenzati dalle diverse culture che li hanno elaborati, ma che devono essere necessariamente interpretati e, possibilmente, compresi.

Per cui, attingendo ancora una volta dal mito, si può capire come spesso vi sia una visione dell’universo non locale e non duale.

Per la fisica cosa significa universo non-locale? Per capirlo è necessario conoscere la realtà dell’ambito quantico e di quello subatomico, realtà in cui dobbiamo dimenticare i concetti di percezione dei sensi poiché non vi è la linearità del tempo e dello spazio e, soprattutto, non è possibile in alcun modo prevedere il rapporto causa-effetto. Proviamo ad una particella subatomica molto nota, l’elettrone e, in particolare, al passaggio dalla sua orbita ad una orbita più elevata. In questo caso, l’elettrone non si muove attraverso lo spazio, ma fa un salto quantico, in quanto tale quindi non prevedibile: sparisce e poi riappare. Nell’arco temporale, seppur ristretto, in cui l’elettrone scompare per poi ricomparire, dove diavolo è finito in quell’istante? Nell’universo non-locale! In altre parole…non lo sappiamo.

Per cui è meglio considerare il passaggio descritto come un semplice “moto”: l’elettrone scompare nel punto X e ricompare nel punto Y.

D’altronde David Bohm, geniale fisico statunitense, scriveva: “lo spazio non è vacuo. È pieno, opposto al vuoto, ed è il terreno per l’esistenza di ogni cosa. L’universo non è separato da questo mare cosmico di energia”. Egli sosteneva che la realtà oggettiva non esiste e spiegava l’universo non locale come un enorme ologramma molto dettagliato (celebre il suo esempio dell’osservatore che guarda un pesce in un acquario, non direttamente da esso, ma da due telecamere una posizionata frontalmente e l’altra lateralmente rispetto all’acquario).

Estrapolando le idee di Bhom possiamo affermare che siano i nostri sensi ad illuderci di percepire la solidità di ciò che pensiamo di vedere e di toccare, ma in realtà stiamo interagendo con semplici nubi di elettroni. Per cui, probabilmente, il nostro cervello altro non è che un elaborato “lettore” di ologrammi.

Davvero affascinante.

E la dualità? Argomento molto discusso e che affronterò in modo sintetico per non allontanarci troppo dallo scopo che ci siamo prefissati in quest’articolo.

Esiste la dualità nell’universo? Molti fisici sostengono di sì, pochi altri sono in disaccordo.

Dal mio modesto punto di vista non esiste dualità nell’Universo ma, per comprenderlo, dobbiamo cercare di liberarci da tutti i concetti che ci hanno inculcato nella testa fin dai nostri primi anni di età.

È già stato spiegato con lo Yin e lo Yang, e potrei citare un elenco lunghissimo e noioso di menti brillanti che hanno sostenuto questa tesi: potrei ad esempio approfondire il pensiero di Giordano Bruno che, tra le altre cose, sosteneva che principio formale e principio materiale benché distinti non possono essere ritenuti separati, perché il tutto secondo la sostanza è uno. Non lo farò, per scelta, in questa sede.

Prendiamo, ad esempio, il modello dell’universo descrittoci dalla religione cattolica: in tale modello il mondo altro non è che qualcosa di creato, un manufatto. Nella Genesi, Dio è rappresentato come un creatore, un grande architetto che crea l’universo in accordo con il suo progetto. Dio genera il mondo infondendo il suo volere nel caos, nel nulla, nel brodo primordiale, similmente a uno scultore che compie la propria opera. Inizialmente l’universo è costituito da qualcosa che non ha vita, non ha forma, non ha sostanza e nemmeno intelligenza, per cui ha bisogno di un’entità esterna per essere in grado di prendere forma, di essere qualcosa.

Ed ecco qua la prima importante e insanabile separazione tra il divino e l’uomo, tra Cielo e Terra, tra elevato Spirito e grezza materia. Di fatto l’uomo creato, separato dal divino, non è in grado (perché non ne ha possibilità), di fare esperienza dell’Assoluto: in tale contesto il contesto e la vita terrena assumo importanza soltanto dopo la morte fisica.

Per cui la nostra visione duale dell’universo è sostanzialmente una visione di separazione, voluta e impostaci, per non farci comprendere a fondo la reale essenza delle cose e, cosa non meno importante, errata in quanto probabilmente non esiste dualità nell’universo.

Addirittura in ambito scientifico s’inizia a pensare che l’universo sia frattalico: il termine frattale deriva dal fractus che significa frammentato, in quanto la dimensione di un frattale non è intera, ma “rotta”.

In un sistema frattale, analizzando scale sempre più piccole, si può notare come le stesse strutture si ripetano, rivelando così l’intera complessità di quella originale.

Per cui l’universo è frattalico, non locale e probabilmente non duale. E il tempo? Beh, su quest’ultimo aspetto lascio a voi spunto di riflessione!

Leggendo con occhi sapienti il mito, il folklore e la leggenda si potrebbe scoprire che questi concetti erano già insiti in essi! Sveglia!

Conclusioni

Mi rendo conto che tentare di mettere in relazione alcune delle attuali conoscenze di fisica relativistica e quantistica con i miti antichi possa apparire, sulle prime, come una sorta di blasfemia scientifica. È altresì vero che per una profonda comprensione delle cose è necessario attingere alle multiformi culture della storia delle civiltà. L’immenso patrimonio culturale raccolto dalla mitologia, dalla filosofia, dall’archeologia, dall’antropologia, dall’etnografia, dalla teologia e dall’insieme delle discipline scientifiche serve ad ampliare in modo netto la nostra conoscenza, permettendoci di capire le differenze e le analogie esistenti tra diversi modi di pensiero e a focalizzare che ciò che in apparenza possa apparire come un enorme puzzle, in realtà sia una cosa sola.

Non mi ritengo certamente un detrattore del metodo scientifico, ma ritengo che anche la scienza, in continua evoluzione, se non approcciata con mentalità aperta, ponga dei limiti invalidanti ad una comprensione più ampia, su larga scala.

Un esempio? Cosa dice la scienza circa il fatto di cosa vi fosse prima del Big Bang che avrebbe creato il nostro universo? Vi assicuro che è una questione molto dibattuta dal momento che le più moderne teorie scientifiche iniziano a prendere in considerazione l’esistenza di un “prima”. Nel mondo scientifico “prendere in considerazione” è un inizio che può servire da spunto per approfondire l’argomento, ma se non è dimostrabile si rimane pur sempre nel campo delle idee.

Se prendessimo come verità assoluta il fatto che l’universo si sia formato circa 13,7 miliardi di anni fa a partire dal Big Bang, in un singolo e brevissimo istante in cui l’universo aveva densità (e temperatura) infinita, che i fisici definiscono come singolarità, la questione “cosa c’era prima” non avrebbe senso perché i concetti di tempo e di spazio perderebbero di significato. In tale contesto la lecita domanda sul “prima” non andrebbe nemmeno posta. I fisici stessi non credono a questo ma, dal momento che spesso costoro sono dotati di un certo grado d’intelligenza, corrono ai ripari.

Il famoso fisico Stephen Hawking, ormai passato a miglior vita, sosteneva che prima del Big Bang il tempo era ripiegato, curvo su sé stesso e che si avvicinava a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente e che non c’è mai stato un Big Bang che ha prodotto qualcosa dal nulla. Sembra così soltanto da una prospettiva umana.

Hawking, come per porre fine a una questione che avrebbe condotto a un loop infinito di questioni, deduzioni e di teorie probabilmente inconcludenti allo stato attuale delle cose, scriveva: “gli eventi precedenti al Big Bang sono semplicemente non definiti, perché non c’è modo di misurare che cosa sia successo a tali eventi. Poiché gli eventi avvenuti prima del Big Bang non hanno conseguenze osservazionali, si possono anche tagliare fuori dalla teoria, e dire che il tempo è iniziato con il Big Bang”.

Avete letto bene?  Per un fisico di tale calibro, siccome ciò che avvenuto prima del Big Bang non è apprezzabile (dal punto di vista scientifico), allora si può dire prima che non vi fosse niente.

Il tempo ha avuto inizio al Big Bang, strabiliante!!!

Gli scritti di Hawking mi hanno fatto subito venire in mente una correlazione con un libro che conosciamo più o meno tutti infatti, se i presupposti sono che il tempo e lo spazio abbiano avuto un inizio, come negare che la teoria classica del Big Bang ricordi la creazione biblica?

In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno (Genesi 1,5)”. Dio creò la luce e la tenebra il primo giorno: ecco a voi signori l’inizio del tempo!

Ho preso spunto dalla Bibbia, ma potrei farlo anche con la genesi delle varie mitologie che sono in parte già state citate.

Per dar libero sfogo alla mia fantasia, amo credere che viviamo in un universo caldo e luminoso, costituito da materia e che il suo “opposto” sia un universo buio e freddo, fatto di antimateria. Probabilmente trattasi di fantascienza, lo ammetto. E ancora…l’universo oscuro, parallelo, presente ma invisibile…potrebbe somigliare all’inferno?

Non un luogo di fiamme perpetue, ma di ghiaccio, desolazione e tenebra.

Il geniale e visionario sommo poeta, nella Divina Commedia, pone nella parte più bassa dell’inferno il Cocito, un lago completamente ghiacciato per il gelido vento causato dallo sbattere delle sei enormi ali di pipistrello di Lucifero. I dannati presenti, praticamente congelati dal freddo, soffrono indicibili pene: il gelo è la loro punizione eterna.

Presumibilmente tra mille anni, quando gli uomini andranno ad attingere dal mito, leggeranno interessati la storia dell’eroico protone che, sfuggito all’annichilazione, ha dato origine a tutta la materia del nostro universo. Intendendo con universo quello osservabile, che non è detto che corrisponda a quello reale.

Probabilmente discuteranno sul fatto del perché il protoeroe non si sia distrutto incontrando il suo alter ego: casualità? Disegno predefinito? Intervento esterno da parte di qualcuno?

E ancora: il Big bang è avvenuto realmente? Abbiamo le prove che circa 13-14 milioni di anni fa vi sia stata una fase molto densa e calda; a partire da questo punto è stata elaborata la teoria della grande esplosione.  Ricordiamoci anche che i rigorosi modelli matematici e fisici che abbiamo a disposizione sono in continua evoluzione: tali modelli, ad oggi non sono sufficienti per spiegare cosa sia avvenuto esattamente nel momento iniziale di formazione nel nostro universo e, ancor di più, cosa vi fosse prima. Sicuramente ne serviranno altri, diversi da quelli che si utilizzano oggi.

Per cui, concludendo, dato che la scienza non abbia ancora fornito una spiegazione circa “il prima”, nonostante vi siano in corso numerose ipotesi (ad esempio la teoria dell’inflazione), per quanto mi riguarda prima del Big Bang, della grande esplosione, c’era il Ginnungagap, il Caos, il Tutto e il Niente!

 

 

Fonti

  • Alchimia e Mistica, Alexander Roob,Taschen GmgH, 2007;
  • Buchi neri e salti temporali, Kip Thorne, Castelvecchi Editore, 2017;
  • CPT – Symmetric Universe, Latham Boyle, Kieran Finn, and Neil Turok, Phys. Rev. Lett. 121, 251301 – Published 20 December 2018;
  • Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Stephen Hawking, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2015;
  • Dei, Draghi e Eroi della Mitologia Cinese, Tao Tao Liu Sanders illustrazioni di Johnny Pau, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1981;
  • Dei e Eroi della Mitologia Vichinga, Brian Branston, illustrazioni di Giovanni Caselli, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1981;
  • Fisica: Equazione di Dirac, Alessio Mangoni, Mondadori, 2015;
  • I Miti greci, Robert Graves, Longanesi editore, 1992;
  • Inferno, Divina Commedia, illustrazioni Gustave Doré, Canto XXXIV
  • Miti e Dèi dell’India, Alain Daniélou, Bureau Biblioteca Univ. Rizzoli, 2002;
  • Simboli, Hans Biedermann, Garzanti Editore, 2014
  • Thor e il potere di Mjöllnir, saga di Thor I, Mitologia nordica, Anno I, Numero 1, RBA Italia, settembre 2019;
  • https://www.treccani.it/enciclopedia/pelasgi;
  • https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico.

Le pietre del fulmine

Introduzione

In questo articolo proverò a chiarire il concetto simbolico delle cosiddette pietre del fulmine, basandomi sulle mie conoscenze ma, soprattutto, sui testi di René Guénon (1886-1912), grandissimo studioso francese di simbolismo, ma anche intellettuale, filosofo ed esoterista di tutto rispetto. La simbologia relativa al fulmine in senso stretto invece, ricca e presente nella quasi totalità delle culture antiche, esula dallo scopo di questo breve studio.

Scoprirete come questo breve viaggio che parte dai primordi dell’uomo, ci condurrà fino alla massoneria odierna e, soprattutto, a riflettere.

Betili

In un articolo del numero speciale del Voile d’Isis de­dicato ai Tarocchi, Auriger, a proposito dell’arcano XVI, scrisse questa frase: “Sembra che esista una relazione fra la grandine di pietre che circonda la Torre colpita dal fulmine e la parola Beith-el, dimora divina, da cui derivò betili, termine con cui i Semiti designavano gli aeroliti o pietre del fulmine nelle quali si credeva che dimorassero le divinità”.

Ricordo che, dal punto di vista geologico, l’aerolite è una roccia litoide derivante da un meteorite costituita prevalentemente da silicati di ferro e di magnesio.

Questo accostamento è stato suggerito dal nome Casa di Dio dato a questo arcano, nome che costituisce effettivamente la tradu­zione letterale del Beith-el ebraico; cerchiamo di fare chiarezza su questo argomento. Anzitutto, è certo che il ruolo simbolico degli aeroliti o pietre cadute dal cielo è importantissimo, poiché si tratta delle pietre nere di cui si parla in molte differenti culture, da quella che era la raffigurazione di Cibele o della Grande Dea fino a quella incassata nella Kaaba della Mecca, che è in relazione con la storia di Abramo. Anche a Roma c’era il lapis niger, senza parlare degli scudi sacri dei Salii, che si diceva fossero stati intagliati in un aerolito al tempo di Numa. Tali pietre nere possono si­curamente essere classificate nella categoria dei betili, cioè delle pietre considerate dimore divine o, in altri termini, quali supporti di certe influenze spirituali; tutti i betili avevano questa provenienza?

Probabilmente no, e, in particolare, non vi è alcun indizio che permetta di supporre che tale sia stato il caso della pietra alla quale Giacobbe, secondo il rac­conto della Genesi, diede il nome di Beith-el, attribuito al luogo stesso in cui aveva avuto la visione mentre la sua testa posava proprio sulla pietra. Il betilo è propriamente la rappresentazione dell’Omphalos cioè un simbolo del Centro del Mondo, che s’identifica nel modo più naturale con l’abitacolo divino. Questa pietra poteva avere forme diverse e in particolare quella di un pilastro; fu così che Giacobbe disse: “E questa pietra, che ho eretto come un pilastro, sarà la casa di Dio”; e, presso i popoli celtici la maggior parte dei menhir aveva lo stesso significato. L’Omphalos poteva esser rappresentato anche da una pietra di forma conica, come la pietra nera di Cibele, od ovoidale; il cono richiamava la Montagna sacra, simbolo del Polo o dell’Asse del Mondo; in quanto alla forma ovoidale, essa si riferisce direttamente a un altro simbolo assai importante, quello dell’Uovo del Mondo. In tutti i casi, il betilo era una pietra profetica, una pietra parlante, cioè una pietra che rendeva oracoli, o accanto alla quale erano resi oracoli, grazie alle influenze spirituali di cui essa era il supporto: l’esempio dell’Omphalos di Delfi è a questo proposito assai caratteristico.

Omphalos, rovine di Delfi

I betili erano quindi essenzialmente pietre sacre, ma non tutte di origine celeste; tuttavia, è forse vero che, almeno sim­bolicamente, l’idea di pietra caduta dal cielo poteva in qual­che modo esservi legata. Quel che ci fa pensare che le cose stes­sero in questo modo è il loro rapporto con il misterioso Luz della tradizione ebraica; questo rapporto è sicuro per le pietre nere, che sono effettivamente degli aeroliti, ma non dev’essere limitato soltanto a questo caso, poiché è detto nella Genesi, a proposito del Beith-el di Giacobbe, che il primo nome di tale luogo era precisamente Luz. Possiamo anche ricordare in quest’occasione che il Graal era stato intagliato, si diceva, in una pietra caduta anch’essa dal cielo, e fra tutte queste cose sussistono legami assai stretti.

Infatti, sia che si tratti dei betili in genere, sia delle pietre nere in particolare, né gli uni né le altre hanno in realtà niente in comune con le pietre del fulmine; e soprattutto su questo punto la frase citata all’inizio del presente articolo contiene un errore interpretativo cui cercherò di dare una spiegazione. Risulta abbastanza intuitivo supporre che le pietre del fulmine o del tuono siano pietre cadute dal cielo, aeroliti, e invece non è così; non si potrebbe mai indovinare che cosa siano senza averlo appreso dai contadini che, per tradizione orale, ne hanno conservato il ricordo. I contadini commettono d’al­tronde anch’essi un errore di interpretazione, che mostra come il vero senso della tradizione sfugga loro, quando credono che tali pietre siano cadute con il fulmine, o che siano il fulmine stesso. Essi sostengono infatti che il tuono cade in due maniere, in fuoco o in pietra: nel primo caso, incendia, mentre nel se­condo infrange soltanto; ma essi conoscono assai bene le pietre del tuono, e si sbagliano solo attribuendo a esse, a causa della loro denominazione, un’origine celeste che non hanno mai avuto.

Rappresentazione simbolica del fulmine

La verità è che le pietre del fulmine in realtà sono pietre che rappresentano il fulmine: la differenza non è poi così sottile. Altro non sono che le pietre di silice preistoriche, adatte per la creazione di utensili (specialmente se utilizzati per tagliare e fendere) che, per le loro caratteristiche petrografiche e mineralogiche presentano caratteristiche che permettono la creazione di incisioni concoidi. Le pietre che presentano queste caratteristiche sono in primis l’ossidiana. L’ossidiana, in sintesi, è una roccia magmatica effusiva prodotta del rapido raffreddamento della silice contenuta in un magma, tanto veloce (shock termico) da non permettere la genesi di cristalli ben formati (sistema cristallino amorfo).

Ad esempio l’ascia di pie­tra è la pietra che spezza e che fende, e perciò rappresenta il fulmine; questo simbolismo risale d’altronde a un’epoca estre­mamente remota, e spiega l’esistenza di certe asce, chiamate dagli archeologi asce votive, oggetti rituali che non hanno mai avuto alcuna valenza pratica come armi ad esempio. E’ inoltre presumibile dedurre che l’ascia di pietra di Parashu-Rama e il Mijolnir (il martello di pietra di Thor) siano in realtà una sola e identica arma, e tale arma è il simbolo del fulmine.

Martello di Thor

Nella mitologia norrena è noto che Thor scagliò il suo Mijolnir contro i giganti e, una volta abbattuti, l’arma tornò nelle sue mani come un boomerang: ma il martello di Thor aveva anche una valenza “benefica” in quanto sanzionava anche i matrimoni.

Si vede così anche che il simbolismo delle pietre del fulmine è di origine iperborea, cioè si ricollega alla più antica tradizione dell’umanità attuale. È opportuno notare, d’altra parte, la funzione importantissima che svolge il fulmine nel simbolismo tibetano; il vajra, che lo rappresenta, è una delle principali insegne dei dignitari del lamaismo. Nello stesso tempo, il vajra simboleggia il principio maschile della manifestazione universale, e così il fulmine è associato al concetto di paternità divina; associazione che si rinviene chiaramente nelle antiche culture occidentali, poiché il fulmine è il principale attributo caratterizzante di Zeus-Pater (o Jupiter), padre degli dèi e degli uomini, con cui fulmina i Titani e anche di Thor che combatte i nemici con la propria arma di pietra.

Simbolismo massonico del martello

Principali attrezzi massonici, tra cui il martello

Da evidenziare anche un aspetto che riguarda il simbolismo massonico del maglio: non solo c’è un rapporto evidente fra il maglio e il martello, che sono due forme di uno stesso strumento, ma lo storico massonico inglese R.F. Gould pensa che il maglio del Maestro, di cui ricollega d’altra parte il simbolismo a quello del Tau per via della sua forma, tragga la sua origine dal martello di Thor. I Galli, ad esempio, adoravano un “dio col maglio” che si rinviene in un altare scoperto a Mayence: sembra addirittura che si tratti del Dis pater, il cui nome è assai vicino a quello di Zeus pater, e che i druidi, a quanto dice Cesare, consideravano come padre della razza gal­lica. Così, questo maglio appare ancora come un equivalente simbolico del vajra delle tradizioni orientali, e, per una coinci­denza per niente fortuita, si fa presente il fatto che i maestri massoni possiedano un attributo che ha esattamente lo stesso senso di quello dei grandi Lama tibetani. Per cui un oggetto che racchiude un potente e atavico potere, duale nei suoi effetti di apparente contrario significato, ma unico nella sua essenza: un potentissimo strumento simbolico e di potere. Oggi, ad esempio, il martello viene utilizzato dal Giudice nelle aule di giustizia per richiamare all’ordine.

In base a quanto andrò ad esplicitare non mi preoccupa affatto di venire accusato di essere “avverso” alla massoneria. La domanda però sorge spontanea: nella massoneria odierna, chi mai potrebbe detenere un oggetto di tale potere e valore (simbolico)? Probabilmente nella massoneria nostrana, ossia ciò che ancora sopravvive stoicamente nella forma di pseudo organizzazioni iniziatiche occidentali, in pochi (se non nessuno) sono a conoscenza di cosa si tratti. Nel momento in cui si perde la visione spirituale e il concetto intrinseco, storico e antropologico di un simbolo, esso non rimane che un contenitore vuoto, del tutto inutile, senza alcuna connotazione iniziatica e spesso dannosa. Nella simbologia massonica il martello è impugnato dal maestro della Loggia e simboleggia la lavorazione della pietra grezza (l’iniziato e apprendista): per cui un cammino verso la conoscenza e l’illuminazione. Trasformare la nuda pietra rozza in oro, noto concetto alchemico. Come può un Maestro condurre un apprendista verso la conoscenza se egli stesso ignora il reale significato simbolico e l’intrinseca essenza di ciò che utilizza?

Spunto di riflessione

Abbiamo quindi messo in evidenza che le pietre fulmine provenienti dal cielo in realtà rappresentino il fulmine dal punto di vista archetipico e simbolico. Da sottolineare che l’inziale comprensione errata non è detto che fosse ad opera dei popoli antichi, ma piuttosto derivante da interpretazioni sbagliate da parte di studiosi vari, temporalmente parecchio antecedenti rispetto ai loro antenati arcaici.

A questo punto vorrei proporre uno spunto di riflessione. La tanto amata logica dagli uomini ci ha condotto a queste conclusioni. Proviamo per un attimo ad elevare il nostro livello di coscienza: se invece, in via del tutto ipotetica, le popolazioni arcaiche fossero a conoscenza di aspetti ad oggi a noi ignoti? Se per puro caso i nostri progenitori utilizzassero tecnologie andate poi perdute? In questa “fantasiosa” eventualità tutte le nostre considerazioni, i nostri studi e interpretazioni, le nostre sicurezze avrebbero valenza nulla, pressoché pari a zero. Un dogma rimane tale solo fino al momento in cui lo si comprende in base al proprio livello di consapevolezza.

Lunga vita agli Dèi, lunga vita a Thor!!

 

Fonti

 

Dei e Eroi della Mitologia Vichinga, Brian Branston, illustrazioni di Giovanni Caselli, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1981

I Miti Ebraici, Robert Graves e Raphael Patai, Tea Edizioni, 1988

Simboli, Hans Biedermann, Garzanti Editore, 2014

Simboli della Scienza sacra, René Guénon, Adelphi Editore, 2011